Il Giornalino
A cura di Mario Villa CUP
Da Notizie Internazionali di domenica 21 gennaio 2021 – Il commento
La rivincita della morte
Sconfitta dopo decenni una malattia letale, un’altra più terribile viene scoperta e molte altre attendono ancora una cura veramente efficace. Ricordiamo qui alcune delle cause più diffuse al mondo: la malaria, il cancro (anzi, i cancri), la fame, le pessime condizione igieniche nella quali vive larga parte della popolazione mondiale, la povertà. Qualcuno dirà: ma la fame, le condizioni igieniche e la povertà non sono malattie. Io ribadisco: sono malattie a tutti gli effetti, l’unica differenza con il cancro e la malaria sta nel fatto che non colpiscono il corpo di una singola persona, ma il corpo sociale, così come l’inquinamento e il degrado ambientale sono malattie che colpiscono l’intero pianeta.
Ma vale davvero la pena lottare se, appena sconfitta una delle più terribili malattie del XX secolo, subito se ne scopre un’altra, in apparenza molto più terribile? Sì, non solo vale la pena lottare, ma è doveroso farlo, per alleviare il dolore a decine, centinaia di migliaia, milioni di persone; lottare per migliorare le condizioni di vita di intere popolazioni; lottare per sconfiggere le malattie, personali e sociali, che affliggono i poveri del mondo. Perché questo è uno dei limiti della ricerca: interessarsi soltanto delle malattie del mondo ricco, dove le multinazionali del farmaco risiedono. Spesso viene il dubbio, molto forte, che le scelte operative delle aziende in questione siano ispirate non solo e non tanto dalla volontà di debellare terribili malattie, ma dalla prospettiva di guadagno, e che il sistema dei brevetti applicato alla farmacopea sia un’ingiustizia globale.
Non illudiamoci, non riusciremo mai a sconfiggere la prima causa di morte al mondo, che è la vita. Una vecchia canzone recitava: quel vizio che ci ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere. Ogni organismo è destinato a scomparire prima o poi, la morte non è debellabile, perché come non abbiamo scelto di nascere, così non possiamo decidere di vivere su questa terra per l’eternità, che non è comunque una caratteristica cosmica, perché anche il sistema solare è destinato a morire e la luce delle stelle che vediamo brillare la notte è partita milioni di anni luce fa per arrivare a noi solo oggi e forse quelle stesse stelle non esistono già più, sono solo fantasmi nel cielo.
Combattere il dolore e la sofferenza è però un dovere per chiunque, credente o ateo, materialista o spiritualista, singola persona o società, stato e privati; ed è un dovere soprattutto per chi ha più mezzi, per i “ricchi”, siano essi singole persone o intere parti del globo. Cercare di evitare che le persone muoiano tra terribili sofferenze e angosce o peggio ancora sole, è un impegno al quale non possiamo derogare in nessun modo, sia che si tratti di praticare un’iniezione di morfina come di raccogliere un moribondo sui marciapiedi di Calcutta.
La morte si nutre del cambiamento, perché il vecchio deve morire per far nascere il nuovo e la placenta muore quando il neonato spinge la testolina fuori dal sicuro ventre materno per affacciarsi al mondo.
Morte e vita sono indissolubilmente unite, in un abbraccio che noi possiamo e dobbiamo solo rendere meno atroce di come a volte è.