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Eskaton

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A cura di Mario Villa Accettazione P.O. Rho

aveva ragione. La tramontana aveva soffiato tutta notte e aveva finalmente spazzato via il muro di smog che opprimeva l’aria. Il cielo respirava libero e sfoggiava il suo manto turchese, un azzurro intenso illuminato dal sole che dava gioia a vederlo. La bellezza del giorno però era tutta in alto. Alberto voltò lo sguardo alla terra del cortile e non riuscì a vedere nemmeno un filo verde, trovò solo polvere e secchezza ed erba morta. Non pioveva ormai da più di sei mesi e le nebbie gravide d’inquinamento non avevano fatto che peggiorare la situazione. Della neve neanche a parlarne: se l’autunno era stato caldo, l’inverno aveva alternato temperature sotto lo zero a pomeriggi oltre i dieci gradi Celsius. E ora, a fine marzo, le gemme spuntavano sui rami degli alberi da frutto per seccare nel giro di quarantottore. I campi di frumento erano verdi solo perché venivano irrigati dai moderni impianti. L’acqua però stava finendo anche nei canali che partivano dal grande fiume, perché i nevai in cima alle montagne erano ormai quasi del tutto sciolti. Là dove un tempo troneggiavano ghiacciai perenni, ora svettava la grigia nuda roccia, impietosa nella sua arida durezza.
Il presidente aveva già emesso un decreto per il razionamento dell’acqua: doccia una volta alla settimana, bucato solo a lavatrice piena e altre misure del genere. Ma chi poteva controllare i cittadini nelle loro case? Nelle città avevano iniziato ad installare valvole all’interno degli appartamenti che bloccavano l’erogazione dell’acqua potabile quando fosse stata raggiunta la quantità giornaliera consentita.
Se al Nord si riusciva ancora a resistere, al Sud la situazione era tragica: la gente cominciava a morire per il caldo: le temperature avevano già sfondato il muro dei quaranta e le persone che abitavano sulla costa cercavano refrigerio nel mare, mentre i desalinatori non riuscivano a soddisfare la richiesta di acqua potabile. E il cielo continuava a rimanere crudelmente celeste e la terra atrocemente polverosa. Ma del resto non era sempre stato così? Il cielo non era stato sempre stupendo e la terra sempre drammaticamente dura e cattiva? Ammiravi Venere danzare con la Luna nel blu cobalto steso tra il tramonto e la notte e intanto una donna veniva violentata, un bambino abortito, un uomo ucciso e milioni di persone morivano di fame e di sete in Africa.
O cieli, piovete dall’alto, o nubi, mandateci il Santo. Sì, che in un modo o nell’altro tutto questo finisca e ci sia finalmente giustizia e vita piena. Non c’è altro desiderio che valga la pena di coltivare nel più profondo del cuore.

II.
Yĕhošūa entrò nel ristorante dalle cui vetrine si ammirava il fianco della cattedrale gotica. Era sconsolato. Le città che aveva visitato e le persone che aveva incontrato avrebbero dovuto essere il centro della fede in Dio, lo zoccolo duro di chi ancora sperava nella salvezza, e invece… Quanta ricchezza aveva visto a Gerusalemme, a Roma, ad Atene, a Sofia, a Mosca, a Westminster, a Ginevra… Quanta poca umiltà aveva incontrato nei capi e nei consigli delle varie Chiese nelle quali si era divisa la comunità dei credenti che Lui aveva fondato.
E gli aveva anche pianto il cuore quando era passato da Damasco, da Beirut, da Istanbul, colei che un tempo era stata Bisanzio e Costantinopoli: città da sempre sue fedeli ora dominate dall’Islam che lo rinnegava come Dio. E che desolazione atea aveva incontrato a Corinto, a Salonicco, a Kavala, l’antica Filippi, le antiche comunità paoline.
Si sedette al tavolo con il vassoio e iniziò a mangiare il pesce fritto. Vicino a lui sedeva una coppia di turisti e la donna disse: “Hai visto che splendido duomo? Ha delle statue di una bellezza splendente nonostante il grigio del marmo. E le colonne? Sono potenti e slanciate nello stesso tempo. Non ho mai visto una chiesa di questa bellezza!”.
Non resterà pietra su pietra, pensò Yĕhošūa. E il suo pensiero non si era ancora spento, che le voci e i canti della festa per il restauro della Madonnina furono spezzati da un boato pauroso, che sembrava rimbalzare tra le guglie e le terrazze, si in alto, precipitandosi verso la piazza,  finché dalla cuspide più alta della facciata sembrò partire un lampo dorato e la statua simbolo della città piombò sulla folla che restò di sasso e se ne stette lì ad aspettare lo schianto. E dalla facciata le statue iniziarono a staccarsi franando sul sagrato e la porta di bronzo scolpito si staccò dai cardini e crollò di schianto, aprendo uno squarcio sul più alto dei gradini e iniziando a  penzolare pericolosamente sulla sottostante stazione della metro. Attraverso la voragine nera la folla terrorizzata vedeva sfaldarsi le colonne, mentre le persone impossibilitate a scappare venivano ferite da lance di vetro colorato scoccate dalle vetrate che si spezzavano creando innumerevoli schegge assassine. Proiettili di marmo risorgimentale rimbalzarono sotto i portici affollati di gente intenta alla shopping ed anche all’interno del ramo della Galleria affacciato sulla piazza. Una nube di polvere sottilissima balzò senza lasciare scampo sui visi di uomini e donne immobilizzati dalla paura e si infilò nei polmoni attraverso le narici, intasando e schiantando bronchi e alveoli.
Il tutto non durò più di cinque minuti. Poi il leggero vento che soffiava nel pomeriggio spazzò via la nebbia e rivelò il tappeto di cadaveri steso sulla piazza, macabro decoro multicolore. Là dove poco prima si ergeva una splendida cattedrale, giaceva ora un cumulo impressionante di macerie.
Yĕhošūa mangiò l’ultimo boccone di pesce fritto, si alzò e se ne andò. Chissà cosa avevano visto gli uomini? Solo un crollo devastante? O qualcuno era riuscito a scorgere il vero significato dell’accadimento?
III.
L’oceano era salito velocemente nell’ultimo mese e ormai baciava la montagna, uccidendo con il suo sale la foresta che rivestiva il fianco meridionale dell’antico vulcano. Pensare che aveva deciso di andare a vivere alle Hawaii perché erano molto più alte sul livello del mare degli atolli polinesiani. Un paradiso terrestre, un clima stupendo, un’oasi nel Pacifico.
Mentre aspettava di salire sull’elicottero si domandava dove sarebbe andato. La nave che li aspettava al largo li avrebbe scaricati a San Francisco. E poi? Certo, in banca c’erano ancora i duecento milioni di dollari vinti alla lotteria nazionale. Ma a cosa gli sarebbero serviti? L’Europa era inospitale, coperta da metri e metri di ghiaccio da Capo Nord a Piacenza, in Italia – e la chiamavano piccola glaciazione – e invasa a Sud da milioni di persone che scappavano dal Grande Gelo verso sud e dal deserto del Sahara – giunto ormai alle porte del Mediterraneo – verso Nord. La Nuova Zelanda, con le sue imponenti montagne, era stata resa impraticabile dalla pioggia e dalle nevicate che le flagellavano ormai da dieci anni e le splendide città australiane erano ormai disabitate, dopo che il deserto centrale si era mangiato anche le coste: pochi aborigeni la abitavano, nascosti nelle gole del nord, dove particolari condizioni climatiche avevano conservato acqua potabile in abbondanza in alcuni serbatoi naturali. L’Africa conservava qualche abitante solo sulle coste, lungi tutto il suo perimetro, e nelle foreste delle montagne dove una volta c’erano Ruanda, Burundi e Uganda.
Dove sarebbe scappato per sfuggire a tutto questo? Anche l’America era quasi impraticabile, per i medesimi motivi. Gli USA, esclusa una piccola parte della costa ovest, erano un immenso deserto, di sabbia, pietre e sale a sud, di ghiaccio e neve a nord. Il Canada non esisteva più, per non parlare dell’Alaska. La stessa situazione si aveva risalendo da Capo Horn verso nord.
Rimanevano le foreste del Centro America e dell’Indocina in Asia e l’Amazzonia, seppur ridotta di molto rispetto a un tempo. Ma i discendenti delle popolazioni pre-coloniali erano ritornate e vivere come un tempo, praticando riti che avevano al centro il sacrificio umano di nemici, stranieri e vergini consacrate.
Dove sarebbe andato a vivere? Dove l’avrebbero condotto i suoi cinquant’anni?
Mentre l’elicottero si alzava in volo prese la sua decisione. Non era più l’ora di fuggire. Sarebbe rimasto a San Francisco e con il denaro piovuto dal cielo avrebbe aiutato gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ignudi, i carcerati e i malati, finché ci fosse stato denaro sufficiente a fare qualcosa. Poi non sarebbe rimasta che la preghiera e il fiducioso affidarsi a Dio. L’elicottero si sollevò e anche lui si sentì più leggero, il suo spirito era colmo d’ebbrezza, di dolcezza celeste. O almeno così gli sembrò. Poi chiuse gli occhi e nonostante il rumore delle pale si addormentò sereno.




 
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