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E il verbo si fece cane

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a cura di Mario Villa P.O Rho

E il Verbo si fece carne
(Gv 1, 14)

Nella notte di Natale, durante la celebrazione della Messa di mezzanotte, la più sdolcinata eucaristia dell’anno, sentiremo, ma forse non ascolteremo, queste parole. Cerchiamo allora di ascoltarle adesso, quando ancora siamo lontani dalle luci distraenti delle luminarie – scrivo alla fine di ottobre – e dall’affanno di trovare regali, carini, belli e possibilmente poco costosi. Prima di tuffarci nelle ondate delle fiere e dei mercatini, prima di affrontare un sabato pomeriggio, e magari pure una domenica, di stress da shopping, mettiamoci in ascolto di questa Parola, a prima vista enigmatica.
E’ doveroso iniziare con due notazioni linguistiche. La prima rileva che in greco non c’è scritto verbo, termine derivato dalla traduzione latina dei vangeli, ma lògos, termine che richiama la logica. All’origine del tutto e di ogni realtà particolare non ci sono caos e caso, ma la logica, un progetto preciso, che a noi sfugge, certo, ma che esiste, per l’autore del quarto vangelo. Il primo rifiuto del Lògos che si fa carne si può quindi identificare con il rifiuto del cosmos (ordine, in greco) e l’accettazione del caso, in italiano forse non a caso anagramma di caos. E va anche rilevato come il termine caso deriva dal latino casus, a sua volta voce del verbo cadere. Questo perché caso identifica qualsiasi avvenimento che stia per accadere senza nessuna ragione. Il caso è l’opposto di ogni logica, seppure minima, e quindi in ultima analisi è nemico del Lògos. E il caos è il mondo primigenio, aperto, spalancato, prima del suo costituirsi in forma stabili, definite, ordinate, il cosmo. Il caos è la materia nella sua forma disordinata, almeno a livello macroscopico. Il caos potrebbe essere anche ciascuno di noi in quell’età nella quale ogni possibilità è aperta davanti a lui, prima di determinarsi in forme ordinate, determinate dal caso, dagli incontri, dal DNA, dalle scelte più o meno libere, dalla necessità delle situazioni esistenziali.
Non è importante ricordare tutto questo quando nella notte di Natale sentiremo proclamare la parola Verbo dal sacerdote; ricordatevi però che dietro questa semplice parola derivata dal latino si nasconde il cosmo intero, l’universo “infinito”, o meglio, illimitato.
Si fece: parole che sottolineano la libera decisione del Lògos. Che da sempre, fin dall’origine causale del mondo (arké, in greco) era Dio; e mi viene il dubbio che se ne sarebbe potuto stare tranquillo nel suo essere-separato, nella sua perfetta autonomia, e invece ha scelto di farsi carne. Perché? Non possiamo capire il senso di questa scelta senza far riferimento alla Prima Lettera di Giovanni, capitolo 4, versetto 8: Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Cosa significa amore? Per l’uomo amore è uscire da sé per andare incontro a un’alterità che ci completa. Per Dio amore significa creare questa alterità, all’inizio con la creazione originaria e sempre con la creazione continua – perché se Dio non creasse continuamente l’universo, questo cesserebbe di esistere. L’amore di Dio è quindi fecondità, perché crea la vita dove era il nulla. In cosa consiste la creazione? Possiamo davvero definirla? Il Vangelo ci dice che avvenne attraverso il Lògos, il libro della Genesi che avvenne attraverso  dabar, la Parola di Dio. Essa costituisce in esistenza ciò che prima non era. E noi questo non siamo in grado di capirlo. «La Creazione del Mondo, per i mistici ebraici, è il risultato di una contrazione volontaria della Divinità e di una contemporanea introduzione dell’idea di misericordia». Cito da Parashat Devarim 5759, Camminare da soli, di Jonathan Pacifici, consultabile al link http://www.archivio-torah.it/jonathan/4159.pdf Dio si contrae per lasciare spazio ad altri: è quello che dovremmo fare anche noi nei confronti di coloro che amiamo. Ritirarci, rinunciare a noi stessi: è ciò che il Lògos ha liberamente scelto di fare nell’Incarnazione. E’ ciò che Paolo chiama kènosis, svuotamento di sé: il Lògos ha rinunciato alla sua condizione divina e si è fatto carne. L’invito del cristianesimo alla rinuncia di sé invita a questo: svuotarsi per accogliere l’altro e l’Altro, per amare l’altro e l’Altro, por andare incontro all’Altro attraverso l’altro, amare l’Altro attraverso l’amore concreto dell’altro, al quale dobbiamo farci prossimi, vicini, e per il quale dobbiamo provare com-passione, gioire con lui e con lui piangere.
Carne: il Vangelo di Giovanni non dice uomo, dice carne, conferendo a questo termine un significato molto diverso da quello paolino. Paolo vede nella sarx, carne (diversa da corpo, positivo per Paolo al punto da essere tempio dello Spirito Santo) la componente pesante e negativa dell’essere umano. L’accezione paolina è più spirituale che carnale, paradossalmente. Giovanni vede nella carne la corporeità umana, assunta da Dio e quindi ancora una volta, dopo la positività espressa già da Genesi (E Dio vide che era cosa buona) in occasione della creazione del maschio e della femmina da materia preesistente, affermata come bene. Allo stesso tempo carne è termine neutro, slegato da ogni determinazione sessuale; la scelta del Logos di essere maschio appare quindi legata a motivi di natura storica e non di ordine superiore: la donne contavano poco nella società dell’epoca (nonostante Israele avesse conosciuto nella sua storia alcune grandi profetesse) e nella Galilea “delle genti” nella quale Gesù vive erano presenti culti idolatrici praticati da sacerdotesse-prostitute. Motivi che da un lato avrebbero posto dei limiti all’attività del Lògos incarnato e dall’altro avrebbero potuto esporlo ad accuse di idolatria e porneia, termine greco (molto popolare nel I-II sec. d.C. specie nella letteratura «apocalittica») che nasconde dietro di sé il concetto di infedeltà e di azioni che rendono impura la persona. La scelta della sessualità maschile è da considerarsi quindi come funzionale all’annuncio del Regno, così che questo venisse accolto più facilmente nella società di allora; nella quale, è bene non dimenticarlo, il ruolo di maestro (rabbì, rabbunì) e l’incarico di sacerdote erano riservati ai maschi.
Torniamo sul lasciare spazio: il nostro Natale è spesso esattamente l’opposto. Le nostre tavole sono strapiene di cibo e di bevande, dall’antipasto all’ammazzacaffè e oltre, a volte quasi da fare schifo. Di più: l’intera casa a volte è piena di regali, regalini e simili, piccoli e grandi, costosi ed economici, inutili e assurdi. Sembriamo conquistati dalla smania del regalo a tutti i costi: È solo un segno, una cosa da niente:  ma se è da niente, perché la regali a me?, verrebbe da rispondere a volte. E poi un segno di cosa? Forse si potrebbe dimostrare affetto senza smanie consumistiche e senza obbligare le altre persone a riempirsi la casa di ninnoli inutili, seppur carini, o a indossare assurde cravatte, fino all’assurdità del riciclo del regalo, operazione non ecologica causa spreco di altra carta, o del dover andare chissà dove a cambiarlo perché la taglia è sbagliata, con relativa perdita di tempo e seguente arrabbiatura.
Conquistati dalla smania del regalo a tutti i costi e per tutti, riempiamo il tempo di Avvento della pre-occupazione relativa, con impegno di interi sabati e domeniche per girare mercatini, fiere e negozi del centro, mentre dovremmo trovare il tempo necessario per prepararci al memoriale (che non è solo un ricordare, ma è un rendere presente ed efficace oggi un avvenimento accaduto una volta per tutte) della nascita di nostro Signore Gesù Cristo. Sempre che sia nostro Signore, il nostro re: Ecco, viene a te il tuo re; umile cavalca un asino figlio d’asina ci dice Zaccaria al versetto 9 del capitolo 9 del suo libro. L’asino era la cavalcatura del re in tempo di pace. E il profeta, sempre allo stesso versetto, ci dice anche cosa dovremmo fare: Esulta grandemente, giubila. La festa è quindi doverosa, forse però dovremmo ripensarne i termini, le modalità.
Il Logos viene a portare la pace, ad instaurare un regno di com-unione, che gli uomini in questi duemila anni hanno dimostrato di non volere. Lo stare con i nostri cari dovrebbe essere l’inizio domestico di questo vivere nell’armonia, preoccupati non tanto di cucinare un pranzo da grande chef o di trovare il regalo giusto per ogni persona alla quale siamo affezionati, quanto di stare con, di condividere, di respirare l’amore che unisce le persone riunite intorno alla tavola per il pranzo o per un gioco di società.
Siamo ancora capaci di stupirci del Dio-Amore, sole che viene a visitarci dall’alto per rischiarare coloro che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace (Benedictus)? O ci stupiamo solo delle luminarie e dei fuochi d’artificio?
Però, Signore Gesù, sono ormai duemila anni che l’umanità aspetta il tuo ritorno e l’attesa si fa lunga, la stanchezza e la fatica a volte paiono sopraffarci: vieni presto, Signore, Maranâ thâ'. Vieni e instaura il tuo regno di pace, pienezza dei doni di Dio per ogni persona, perché tutti siano sazi e dissetati e possano vivere nella giustizia dell’amore, tutti, nessuno escluso, perché la tua misericordia laverà anche le macchie più ostinate e l’abito da Te donato ci permetterà di entrare e partecipare al tuo banchetto nuziale, gioia e dolcezza senza fine alla tua presenza. Amen.

 
 
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