Cinema - Nuovo Progetto - UNREGISTERED VERSION

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a cura di Fabrizio Albert

SANGUE  DEL  MIO  SANGUE
Italia, Francia, Svizzera 2015 Regia: Marco Bellocchio Soggetto e sceneggiatura: Marco Bellocchio   Fotografia: Daniele Ciprì Musiche: Carlo Crivelli Interpreti: Pier Giorgio Bellocchio, Lidiya Liberman, Roberto Herlitzka, Fausto Russo Alesi, Alba Rohrwacher, Federica Fracassi, Filippo Timi, Elena Bellocchio, Alberto Bellocchio, Toni Bertorelli, Alberto Cracco
Un film complesso, intricato, con frequenti passaggi tra storia e attualità, tra realtà e immaginazione, non sempre facili da interpretare senza una chiave di lettura…Per questo motivo sono andato ad ascoltare la presentazione del film che ha fatto Marco Bellocchio, circondato dai suoi attori. In realtà, a 75 anni compiuti e a 50 anni dal suo primo film-shock, “I pugni in tasca”, attualmente nelle sale, restaurato, Bellocchio si sente libero di riproporre insieme i suoi temi preferiti, le sue radici, la sua casa, il suo paese, Bobbio Lomellina, ma anche la sua educazione cattolica, il suo pensiero politico, le sue critiche nei confronti della chiesa, della politica, dei partiti, della modernità, la sua versione della vita… Questa è la chiave di lettura del film, senza che tutto debba essere logico e conseguente e perfettamente interpretabile. Un film di belle immagini, di ricordi, di suggestioni, di evocazioni della storia passata, un rimbalzo nel presente con la sua casa    (quella stessa de “I pugni in  tasca”), il suo paese oggi e i suoi parenti chiamati a recitare con vari ruoli; il figlio nel ruolo principale, il fratello nello stesso ruolo da vecchio,  la figlia Elena. Lo spunto è l’arrivo al castello, nell’Italia del ‘600, di un cavaliere venuto ad assistere al processo contro una  giovane monaca che aveva sedotto il fratello, prete, per questo suicidatosi e che, conseguentemente, era stato sepolto in terra sconsacrata,  con l’onta della famiglia.  Il tentativo dell’inquisizione è quello di dimostrare che la monaca è posseduta dal demonio e per questo la poveretta viene sottoposta alle prove più  terribili, ma non riusciranno a farla confessare e verrà condannata ad essere murata viva. Ma anche il cavaliere subirà il fascino della monaca come il fratello e quando, anni dopo, divenuto cardinale, verrà al castello per concederle la grazia, uscirà dalla stanza murata una ragazza bella, giovane, pulita…omnia munda  mundis? Il castello, tuttavia,  è anche il punto di collegamento con l’attualità; lo stesso attore ai giorni nostri  giunge al  castello come ispettore della regione, accompagnato da un magnate russo in Ferrari che vuole acquistare il tutto e magari trasformarlo in un resort…  Il problema è, però, che il castello è ancora abitato da uno straordinario personaggio, Roberto Herlitzka, un conte ritiratosi a vita solitaria con i suoi due servitori, schifato dall’esistenza, ma ancora potente e in grado di condizionare la realtà attraverso i suoi vecchi amici e compagni di partito, come un potentato democristiano di una volta… E qui la fantasia si intreccia con la realtà, con una cena al ristorante in cui si svolge la trattativa per il castello con l’ispettore e il russo, con l’irruzione di un folle “shakespeariano” ( Filippo Timi) che rivendica urlando i suoi diritti e le sue richieste, la ex  moglie del conte che balla esagitata e un po’ bevuta, una bella cameriera ( Elena Bellocchio) e un gruppo di giovani che cantano e si divertono, con il disappunto nostalgico del conte…e poi, sul più bello, un ritorno al ‘600, al monastero, alla liberazione della monaca peccatrice…Bellocchio ha presentato il film come un  canto libero, con la possibilità di esprimere i suoi temi, i suoi simboli, i suoi sogni, (…i suoi incubi?), senza condizionamenti, con continui richiami al suo passato, ai suoi film precedenti, in una specie di “summa” in cui, con la scusante dell’età, ripensa a se stesso e alla sua vita. Alla fine, viene voglia di andare a vedere Bobbio, il castello, il fiume, il paese così bene fotografato in un notturno deserto, fantastico e surreale… Recentemente mi è capitato di vedere di fila tre film che mi hanno colpito molto; tre films diversi, uno italiano non tanto recente, uno marocchino, uno turco, ma che hanno in comune un  tema evidentemente attualissimo e cogente: la condizione della donna nelle differenti società,  nei suoi diversi aspetti; comunque drammatica e non risolta e, se possibile, in alcuni casi addirittura peggiorata rispetto ad un  recente passato in cui la “liberazione della donna” sembrava a portata di mano.
LA BELLA GENTE
Italia 2009 Regia: Ivano De Matteo Soggetto e sceneggiatura: Valentina Ferlan Fotografia: Duccio Cimatti. Musiche: Francesco Cerasi Montaggio: Marco Spoletini Scenografie: Luca Servino Interpreti: Monica Guerritore, Antonio Catania, Victoria Larchenko, Iaia Forte, Giorgio Gobbi, Elio Germano Myriam Catania
Un film del 2009, rimasto a lungo bloccato per pastoie burocratiche e solo ora in uscita nei circuiti, grazie alla perseveranza del regista e autore, Ivano De Matteo. Racconta di una coppia borghese, chiaramente di sinistra, lui architetto, lei psicologa volontaria in un centro per donne maltrattate, romani, più o meno cinquantenni, sposati da anni, con un figlio grande, molto affiatati e impegnati nel sociale. Nel week- end sono soliti andare a riposarsi nel loro bel casolare di campagna in Umbria, accanto a due vicini e amici coetanei, chiaramente “parvenu”,  con villa e piscina, macchina di lusso, consumisti e “caciaroni”, superficiali e ignoranti, felici e contenti del loro lavoro, della loro vita, senza problemi. Lo spunto è dato dall’incontro casuale, lungo la strada per l’Umbria, di una  giovane prostituta dell’Est che subisce violenza da parte del protettore mentre i due coniugi stanno passando in auto. Subito scatta, quasi in automatico, la volontà di sottrarre la ragazza alla violenza, di darle aiuto, di “salvarla”, proponendole una vita diversa e una diversa possibilità. La ragazza viene quasi rapita dal marito e trasportata in villa, rifocillata, tranquillizzata, ripulita, rivestita, anche stimolata dal punto di vista culturale e intellettuale e piano piano si sente più a suo agio e incomincia a pensare ad un futuro più sereno…Purtroppo, però, a dispetto della buona volontà, i condizionamenti culturali e comportamentali si insinuano subdolamente fino al punto di deflagrazione…Arriva  il figlio della coppia, con una compagna arrogante e supponente che pone dei  dubbi sul comportamento della ragazza e se ne va infastidita e arrabbiata; il compagno ne approfitta per tornare da solo  e corteggiare la ragazza fino a farla innamorare e possederla senza alcun ritegno. Nel contempo la moglie psicologa, molto borghesuccia a dispetto del suo impegno, non riesce a tollerare la situazione, si ingelosisce per le attenzioni del marito nei confronti della ragazzina, sospetta che  ci sia dietro qualcosa e inveisce contro la poveretta…Ma anche il vicino, secondo il cliché, ci prova e offre un lavoro ben remunerato in cambio di qualche prestazione… Quando la ragazza, innamorata del figlio della coppia, si dichiara e chiede di fuggire con lui, questo se ne va sornione, quasi scappando, avendo già ottenuto quello che voleva… Quando tutto sembra saltare all’aria, i rapporti famigliari e personali crollano come nell’ “Angelo sterminatore” di Bunuel, la soluzione balza all’evidenza imperativa, naturalmente a spese della povera ragazza; tutto rientra nell’ordine e si ricompone… Critica lucida ad una certa borghesia impegnata, con la chiara dimostrazione di come sia difficile mettere in pratica quello che si predica, magari con convinzione, per tutta una serie di condizionamenti morali e comportamentali che ci sovrastano…Ma anche, non secondariamente, uno sguardo lucido su questo mondo di ragazzine dell’Est che vediamo tutti i giorni intorno a noi, sfruttate, traumatizzate, spesso violentate, per la recondita  speranza di andare incontro ad un mondo migliore nel suo bagliore opulento e  consumista.
MUCH   LOVED  
Francia, Marocco 2015 Regia: Nabil Ayouch Sceneggiatura: Nabil Ayouch Fotografia: Virginie Surdej  Musiche: Mike Kourtzer Montaggio: Damien Keyeux  Scenografia:  Hind Ghazali Interpreti: Loubna Abidar, Asmaa Lazrak, Halima Karaouane, Sara Elhamdi Elalaoui, Danny Boushebel, Carlo Brandt
Altro paese, altra situazione. Ci troviamo in quella che una volta era la splendida città di Marrakech, ora meta di turismo internazionale e, a quanto pare, di loschi traffici di soldi e prostitute.  Il regista franco-marocchino ha voluto descrivere questa realtà senza peli sulla lingua, in maniera a tratti irritante per il linguaggio e per le situazioni spesso imbarazzanti, ma con una vena di realismo quasi documentaristico. La storia segue le vicende di tre giovani prostitute, a cui se ne aggiunge poi una quarta raccolta dalla strada, nella loro vita quotidiana, fatta di eccessi e di miserie. Le ragazze vivono la notte nei grandi alberghi, ballando, bevendo, fumando e accompagnandosi per lo più a giovanotti sauditi ricchi e gaudenti, dalla doppia morale pubblica e privata, senza alcun ritegno. Circolano a fiumi alcool e droghe e soprattutto tanto denaro, di cui le ragazze approfittano il più possibile per se stesse e per dare un aiuto alle famiglie che spesso lo ricevono facendo finta di non sapere da dove viene. Di  giorno le poverette tirano a campare e il regista ce le mostra intente alle faccende quotidiane, mentre dormono disfatte, litigano, sognano un futuro migliore, incontrano personaggi strani ed equivoci, subiscono violenze anche da parte della polizia corrotta, fanno visita alla famiglia nella città vecchia, vestite con la tunica e il velo, si assumono il carico dei parenti  distribuendo denaro, ma incapaci di dare e ricevere affetto. Questo è il prezzo della libertà, ci dice il regista. Sono le uniche donne che, proprio per il loro mestiere, sono in grado di essere autonome, di vivere e girare di notte, di usare il denaro per il loro piacere, di prendere decisioni senza dipendere da nessuno…se non dai soldi! Ma a che prezzo! L’unico che  si salva questa volta è un ometto, un signore di mezza età, l’autista delle ragazze, serio, silenzioso, partecipe senza giudicare, prodigo di consigli e di aiuti, morigerato, coinvolto nella loro vita senza implicazioni sessuali, anche lui in qualche modo affascinato dal sogno della  ricchezza e del benessere. Ancora una volta un ritratto spietato della nostra società  consumista e ipocrita, questa volta con una speciale attenzione al mondo arabo. Il film è stato proibito in Marocco, non tanto per il linguaggio sboccato o le situazioni oscene, ma perché mette in cattiva luce la società marocchina e in particolare le donne…  Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!
MUSTANG       
Francia, Germania, Turchia 2015 Regia: Deniz Gamze Erguven Sceneggiatura: Alice Winocour, Deniz Gamze Erguven Montaggio: Mathilde Van De  Moortel  Musiche: Warren Ellis Interpreti: Gunes Sensoy, Doja Zeynep Doguslu, Elit Iscan, Tugba Sunguroglu, Ilayda Akdogan, Erd Afsin, Nihal Koldas, Aylerk Pekcan
Un film che meglio di ogni discorso ci illustra la situazione della società  e delle donne nella Turchia di oggi. La sensibilità della regista, una donna turca che ha studiato  in Francia,  ci mostra le contraddizioni in cui si dibatte la società turca attuale, divisa tra la modernità e il laicismo delle grandi città e la tradizione culturale e religiosa mussulmana della Turchia profonda. E’ proprio in un paesino in riva al mare dell’Anatolia che ci porta la regista, per raccontarci la storia di 5 sorelle, rimaste orfane e accudite dalla nonna e dallo zio. Le ragazze vanno a scuola, studiano, ma alle fine dell’anno, dopo le lacrime e i saluti alla professoressa cui in particolare la più piccola è molto legata, si lasciano travolgere in un gioco in acqua con i compagni di scuola, accettando un “contatto disdicevole” con i maschi, seppure del tutto innocente e privo di implicazioni. La cosa viene riferita alla nonna e partono tutta una serie di manovre repressive e di contenimento della vitalità e della sessualità dirompente delle ragazze che devono essere riportate in ogni modo alla regola, anche con la forza. Vengono rinchiuse in casa, viene limitato ogni rapporto con l’esterno, se non accompagnate, viene iniziata una educazione domestica che deve portarle a conoscere il loro ruolo e a prepararle per la nuova famiglia. Seguiamo le ragazze allegre e vitali man mano che subiscono le imposizioni e si comportano  in maniera differente, secondo il loro carattere, si confidano, preparano piani di fuga…Ma il destino è segnato e la nonna, tradizionalista e cosciente della propria responsabilità di educatrice e, ahimè, lo zio, maschio, violento e approfittatore, organizzano per loro, ad una ad una, un matrimonio che ponga fine alla dissolutezza e alle tante voci che circolano. Le ragazze  reagiscono diversamente , chi  rivendicando il proprio diritto con forza, chi sottomettendosi  e subendo umilianti esami ginecologici, chi, non tollerando l’imposizione,  viceversa non ce la fa proprio e decide di farla finita…Ma è alla più piccola, sveglia, intelligente, di carattere, che la regista affida la ribellione e il riscatto delle ragazze; in silenzio, con grande premeditazione,  la piccola prepara un piano di fuga rocambolesco, trascinando con sé la sorella più grande già destinata al matrimonio, tra la rabbia dello zio e lo sconcerto della nonna. La piccolina ha in mente la città, Istanbul, e ha un indirizzo da seguire…Così anche noi, come la regista, affidiamo le nostre speranze di cambiamento al cavallino libero e ribelle, anche se la strada da percorrere sembra ancora lunga e piena di ostacoli…

 
 
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