Van Gogh - settembre

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Van Gogh

a cura di De Santis Giorgio
Pochi artisti hanno saputo interpretare i colori come Van Gogh, dal 1880 il suo colore preferito è il giallo. La predilezione per questo colore in questo periodo era forse dovuta all’abuso che faceva di assenzio. Questo liquore, particolarmente tossico, agisce sul sistema nervoso provocando allucinazioni, attacchi epilettici e la xantopsia, ovvero la “visione gialla” degli oggetti. A causa delle sostanze tossiche che provocavano questo disturbo visivo, Vincent adopera in quegli anni prevalentemente il giallo. I suoi gialli denunciano la perdita di contatto con la realtà, una patologia psichica dapprima latente e poi sempre più conclamata che lo porterà al suicidio. I suoi conflitti inconsci si esprimono nei suoi quadri. Attraverso l’arte, cerca di dar voce alla propria sofferenza e frustrazione, si pensi che in tutta la sua vita Van Gogh vende un solo quadro su 900 prodotti !Praticamente vive grazie all’aiuto economico ed al supporto psicologico e morale del fratello Theo. L’evoluzione artistica di Vincent lo porta dalle tenebre alla luce e dalla luce alle tenebre. Dagli anni oscuri olandesi, l’artista si spingerà verso la scoperta del colore nel periodo parigino, fino a culminare nel massimo furore cromatico con l’approdo ad Arles nel 1888. Scrive quotidianamente al fratello Theo , sono lettere a cuore aperto, piene di una specie di felicità della vita che è molto insolita rispetto agli anni passati. Sono quelle del suo periodo di più intensa attività: lavora per 10 ore di seguito in casa o nei campi, il suo occhio si adatta al paesaggio meridionale, comincia a «riflettere» invece di «cercare di non pensare», come ha fatto per tutta la vita. Scrive che ha smesso di bere e di fumare, che mangia in modo più sano e regolare. Ha preso in affitto una casa gialla vicino a un caffè e aspetta Gauguin, con cui spera di mettere su una società di pittori spiantati. Usa tele sempre più grandi, scopre che la mistura di tempere diverse dà vita a colori inediti, che nessuno, nemmeno gli impressionisti da cui era rimasto affascinato a Parigi, aveva tentato. Ricerca del colore, di un colore autonomo dalla realtà, e impeto creativo procedono insieme e si accrescono a vicenda. Ad agosto questo furore è al suo massimo. Si sente «lucido», «autocosciente», «il sangue si rinnova». Il senso della vita gli è finalmente chiaro. Tutto è fiamma, lampo. È il culmine dei suoi gialli, ne vuole fare una «sinfonia». Ne chiede a Theo sempre di più, di tutte le sfumature, che poi butta giù con violenza sulla tela, gonfiando i paesaggi, muovendo le stelle, facendo esplodere i prati. È tutto giallo, è tutto sole. Come mai, ancora, tutto questo giallo? All’eccesso della psicosi, ci si aspetterebbe che seguisse una disperazione cupa, una specie di periodo nero, o comunque livido. I medici credevano che Van Gogh soffrisse di epilessia e gli davano la digitale, che in grandi dosi provoca la xantopsia, che fa vedere tutto giallo. Ma quindi prima? Che giallo era quello di prima,? un giallo diverso, un giallo intossicato dall’assenzio. Con l’arrivare dell’autunno (e di Gauguin), le cose cambiano. Una sera dopo aver bevuto un bicchierino d’assenzio Vincent lo tira in faccia a Paul. Di notte, spesso, Gauguin se lo trova in piedi accanto al letto, che lo fissa. Un giorno si taglia un orecchio e lo porta, «ben avvolto», a una prostituta del bordello locale. Cominciano gli accessi allucinatori, che culminano la notte della vigilia di Natale nell’attacco più violento, dopo il quale viene internato nel manicomio di Saint Paul de Mausole a Saint Remy de Provence. Per tutto il 1889 stordimento e lucidità si alternano. Si stupisce di essere stato rinchiuso in una casa di pazzi, ed è perfettamente in grado di raccontare cosa è successo in quella spaventosa giornata culminante nella psicosi allucinatoria. Fa uso di spessi strati di colore, addirittura preme l’intero tubetto di colore sulla tela. Esasperando il colore mira ad esprimersi istintivamente. Vincent si serve del colore per accentuare ogni cosa. Le sue pennellate sono inquiete, La maggior parte delle sue tele sono caratterizzate dal binomio vita-morte. Non a caso il giallo è sempre ricorrente, come il blu ed il nero, due colori che simboleggiano la vita e la morte, l’inizio e la fine. Ad Arles, Vincent ordina grandi quantità di colori perché la realtà del Sud era così colorata, che la precedente tavolozza olandese non poteva reggere il confronto. Il giallo per Vincent ha un significato particolare: è il colore del sole, dell’amicizia. E’ il simbolo di vita. Questo colore domina anche nelle tele notturne ( Notte stellata, 1889). Dal 1888 al 1890 si passa dal giallo del sole simbolo di vita, all’assenza di sole, simbolo di morte. uesta estraneità lo conduce all’automutilazione; prima dell’orecchio, poi della ragione e infine della vita stessa. Nell’estate del 1890 si spara al petto, colpendo però l’inguine, in un campo vicino casa. Non muore subito, muore due giorni dopo nel suo letto con la pipa in mano. Al medico che gli chiedeva perché l’avesse fatto rispondeva con un’alzata di spalle.



 
 
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