“Benissimo. Ora mi dica da quale parte è il dire e da quale parte è il fare”.
"Mutano solo il cielo, non l'animo, coloro che vanno per mare": il famoso aforisma oraziano potrebbe forse servire da epigrafe a questo libro, in cui Björn Larsson torna a parlarci del suo luogo dell'anima attraverso alcuni tra i grandi classici della letteratura di mare.
Da Conrad a Maupassant, da Omero a Cristoforo Colombo, dal Nobel Harry Martinson al velista solitario Joshua Slocum, da Biamonti a Childers, ad Álvaro Mutis, ripercorre romanzi e racconti, non tutti noti quanto meritano, intrecciando le biografie degli autori e quelle dei personaggi, interrogandosi sulle loro qualità marinaresche e letterarie, ma soprattutto umane, con la competenza e l'empatia di chi spartisce con loro la duplice passione di navigare e raccontare.
Perché continuiamo a considerare il mare come il "simbolo quasi parodistico della libertà", del sogno di una vita più autentica?
È il mare vero o il suo mito che custodiamo gelosamente nel nostro immaginario?
Siamo sicuri che sia una fonte privilegiata di ispirazione letteraria, che basti aver fatto il giro del mondo a vela per diventare scrittori?
Di quale mare parla, in realtà, la letteratura marinara?
Di quello duro dei pescatori e dei marinai, del campo di gara dei regatanti, delle acque domestiche di chi vi trascorre il tempo libero per puro piacere?
Un libro "eclettico e impressionista" che ci invita a navigare senza rotte prestabilite, con il solo scopo di farci "perdere tra qualche buon libro ai margini della letteratura canonica".
Quello di Larsson è un delizioso ed agile libretto al quale mi sembrava accostare, invece, un bel librone, scritto da Giorgio Bertone dal titolo Racconti di vento e di mare, pubblicato per i tipi della casa editrice Einaudi e presentato in questo modo:
Si sta seduti, prestando l'orecchio al rombo perpetuo, contemplando la processione senza fine, e ci si sente piccoli e fragili dinanzi a questa forza terrificante che si esprime in furore e schiuma e suono. Davvero, ci si sente microscopicamente minuscoli, e il pensiero che si potrebbe avere da lottare con un simile mare desta nell'immaginazione un fremito di apprensione, quasi di paura.
Jack London, Uno sport da re
*** «Dicono inoltre, i marinai, che il vento scrive.
Quando all'alba, dopo una nottata di vele in bando, la prima luce rivela una distesa livida, tesa, liscia e viscida come la pelle elastica di uno smisurato cetaceo, l'occhio sonnolento ma vigile di chi è di guardia avverte sulla superficie lievissime minute linee a zig-zag che piano piano si distendono su tutto il mare»:
una raccolta di racconti che segue le increspature dell'acqua e riporta a galla le suggestioni e le avventure di grandi autori, sfuggendo a «forme, schemi, classificazioni, generi, topos», perché la materia è troppo vasta e mutevole per essere delimitata.
Giorgio Bertone - ordinario di Letteratura italiana all'Università di Genova e autore per Einaudi di Italo Calvino. Il castello della scrittura, Breve dizionario della metrica italiana e dell'introduzione a Le vite dell'altipiano di Mario Rigoni Stern - traccia una rotta composta da quarantuno racconti, in grado di trasmettere «la speciale, esclusiva natura del mare e di chi nei millenni ci ha vissuto, campato, affogato o dominato».
Una raccolta sul significato del «leggere e scrivere il mare», che si apre con Joseph Conrad, Stevenson e Pessoa ed esplora un universo fatto di vento - con Italo Svevo, Marquez e Jack London -, isole - Gaugin e Melville -, sogni e deliri marini - Carver, Camus e il terrificante naufragio di Poe -, naviganti, terraferma - le spiagge liguri di Montale, la baia di Rio di De Amicis -, ma anche dei resoconti dei più grandi marinai della storia - il disastro dell'Endurance capitanata da Shackleton, il ritorno di Colombo dal nuovo mondo, Cook e la barriera corallina -, sciagure, corsari e pirati, sirene, approdi e surf.
Un'antologia appassionante, che attinge dalla sterminata letteratura dedicata al mare e costruisce un percorso libero e fantasioso, in acque calme o burrascose, alla ricerca di una sfida o di un momento di riflessione.
Tempeste, bonaccia, spazi sterminati, equipaggi e presenze immaginarie, per un viaggio verso orizzonti sconosciuti o ritorni a un porto sicuro e familiare.
Con Racconti di vento e di mare, Giorgio Bertone rende omaggio a uno dei «luoghi» della narrazione più cari agli scrittori di ogni tempo, in un'antologia costruita come una traversata, costellata di imprevisti, ricordi e momenti di grande meraviglia, che si muove come un'onda: «un gruzzolo che cresce per accavallamenti, incroci, contrapposizioni stridenti, accordi e somiglianze lontane.
Non c'è onda dai secoli dei secoli che sia uguale a un'altra onda».
Dopo due libri scritti “sul” mare eccone uno che si interroga su ciò che sta sotto il mare o meglio, su ciò che l’uomo, dai secoli dei secoli, ha immaginato che ci fosse sotto il mare.Il libro, riccamente illustrato, ha per titolo Magie di Mare, fabulazioni e raffigurazioni di antiche paure, lo ha scritto Alberto Baldi, Docente di Antropologia culturale e di Etnografia visuale e nuovi media presso la Federico II di Napoli, e lo ha pubblicato la casa editrice Squilibri e la quarta di copertina recita così:
Al fine di esorcizzarne l’impenetrabilità, l’uomo ha finito con il collocare il mare all’interno di orizzonti magico-religiosi, popolati da paradisi folklorici dove schiere di santi e turbe di demoni ‘pescavano’, dalle profondità delle distese marine, mostri variamente raffigurati da domare ed esibire così come esorcismo di ataviche paure. Magismi che anche oggi, sotto altre spoglie, mediano il rapporto dell’uomo con il mare, alimentati da un’industria del tempo libero che ne incoraggia un consumo di massa, riverbero di un approccio semplicistico a una dimensione acquorea da colonizzare secondo logiche terrestri del tutto strumentali.
Attraverso uno studio di casi esemplari, il volume indaga questo complesso fenomeno antropologico, soffermandosi soprattutto su una lunga tradizione iconografica nella quale si sono sedimentati atavici timori, istanze esorcistiche e supponenti presunzioni. Ricollocate in una cornice prodigiosa ed ammaliante, le distese marine sembrerebbero perdere gran parte della loro ancestrale impenetrabilità e, grazie a queste 'addomesticate’ messe in scena, l’uomo si sente autorizzato a rivendicare un protagonismo che il mare nei fatti continua, tragicamente, a negargli.