Isole del Paradiso - Nuovo Progetto

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Isole del Paradiso

A cura di Mario Villa Accettazione P.O. Rho

Robert si dondolava sulla vecchia sedia di vimini sotto la veranda del suo bungalow in riva all’oceano, mentre uno dei mitici splendidi tramonti dei mari del sud indorava il cielo e le onde che andavano a morire sulla barriera corallina. Quanti ne aveva contemplati dal giorno che era andato a vivere sull’isola? Impossibile tenerne il conto. Certamente non aveva mai dimenticato quello della prima sera, che nei suoi ricordi restava ancora insuperabilmente meraviglioso – si sa, il primo amore non si scorda mai. Succhiò un'altra sorsata del suo cocktail di papaya e mango e si alzò per il solito controllo: il livello dell’oceano era salito ancora. Misurò. La riga rosso corallo che aveva tracciato la settimana prima era già tre millimetri sotto il livello dell’acqua. Registrò il valore nella tabella del database, la salvò e lanciò la query: ormai l’innalzamento era costante da tre mesi. Nulla di cui preoccuparsi veramente, dato che a quel ritmo ci sarebbero voluti ancora due anni prima che le onde arrivassero a livello del pavimento del bungalow. Il rumore dei motoscafi dei turisti che tornavano ai loro resort di lusso impresse un cambio di direzione ai suoi pensieri. Quei decerebrati che pensavano solo alle immersioni e all’abbronzatura, oltre che a mangiare e scopare, si dicevano amanti della natura, motivo per cui esploravano la barriera corallina, ma in verità erano solo alla ricerca di emozioni e di spettacolo, qui come pure nelle loro città nel tempo libero dal lavoro. E quando tornavano nei loro uffici freddi di formica, metallo e plastica, potevano dire: “Certo in TV è bello, ma dal vivo è tutta un’altra cosa!”. Peccato che con il loro turismo irresponsabile erano i maggiori colpevoli della distruzione del paradiso terrestre nel quale dimoravano per una o due settimane. I voli intercontinentali e le imbarcazioni che li traghettavano negli atolli inquinavano in modo massiccio l’aria e l’acqua. Amanti della natura e inquinatori allo stesso tempo: è possibile? Sì, perché la schizofrenia esistenziale è uno dei caratteri principali di quest’epoca di crisi mortale. Per loro il lavoro era una dimensione ineludibile della vita, alla quale non ci si può sottrarre, dal momento che non si è nati ricchi. Il lavoro è il mezzo per guadagnare il denaro che serve alla sussistenza materiale, cibo e casa, per intenderci, e al divertimento, alle vacanze, al relax, al tempo della vera vita, insomma. E’ difficile sfuggire alla schizofrenia. A meno di seguire le orme di Robert, lasciare tutto e andare a vivere in uno degli ultimi paradisi terrestri rimasti. Lui era fuggito, aveva lasciato il suo lavoro alla City, aveva venduto il suo appartamento in Kensington Church Street e si era comprato, per una manciata di sterline, quello stupendo bungalow in mezzo al Pacifico. Che tra due anni al massimo avrebbe dovuto abbandonare. Ma non si agitava: si sarebbe trasferito alla Hawaii, nell’isola di Oahu, sulla collina che sovrasta Honolulu, al riparo dalla caciara dei beceri turisti americani. Un ritorno alla civiltà, se si vuole, un ritorno obbligato, perché nel giro di massimo dieci anni tutti gli atolli sarebbero stati sommersi dall’Oceano che si alzava costantemente. Da misantropo qual era sarebbe stato la maggior parte del tempo seduto su una sedia a dondolo sotto la veranda della sua nuova proprietà, godendosi lo spettacolo delle onde maestose cavalcate dai surfisti. Basta stare solo: entrò nel bungalow e accese la tv satellitare per connettersi con il resto del mondo. La BBC era quasi più cristallina dell’acqua che sciabordava sotto il pavimento di cristallo. Le news cominciarono in perfetto orario.
«Good morning. Spaventosa eruzione del Kilauea, alle isole Hawaii. La popolazione sta abbandonando la più grande isola dell’arcipelago, grazie allo sforzo dell’esercito, dell’aviazione e della marina statunitense, prontamente intervenute in soccorso delle persone in fuga dalle loro abitazioni. Il nostro corrispondente ci comunica che il 95% della popolazione ha già abbandonato l’isola, mentre una nuvola di fumo nero, che si calcola alta 15 kilometri, si innalza dal cratere del vulcano ed è visibile anche dalla costa ovest degli USA. Se l’eruzione dovesse continuare avrebbe sicuramente notevoli ripercussioni sul traffico aereo, come minimo dell’area del Pacifico. Si consiglia quindi a chi dovesse partire in aereo nei prossimi giorni di informarsi prima di recarsi in aeroporto. La notizia positiva è che non ci dovrebbero essere vittime, anche se le colate di lava, che scaturiscono da almeno tre crateri, hanno già distrutto gran parte della foresta e dei centri abitati».
[Entra una splendida valletta con una velina]
«Ci giunge ora un aggiornamento. Un enorme boato ha scosso l’isola e una nube piroclastica ha raggiunto Hilo e l’ha completamente distrutta, gettandosi poi in mare. Honolulu, situata sull’isola settentrionale di Oahu, è invece interessata, come tutte le isole intermedie, da una pioggia fittissima di polvere vulcanica, che rende l’aria irrespirabile e rovente. Il nostro corrispondente dalla capitale ci informa che alcuni edifici di legno hanno preso fuoco come cerini. Si pensa che al loro interno ci possano essere delle vittime. Per ora non abbiamo notizie dalle altre isole. Appena avremo altri aggiornamenti o se dovessimo riuscire a ripristinare i collegamenti, per ora interrotti, interromperemo le trasmissioni per informarvi». Era schiacciato sul divano da un peso di 1 milione di tonnellate! Il suo futuro andava in fumo. Il suo cottage probabilmente stava già bruciando o era già stato trasformato in un mucchietto di cenere fumante.
E ora?
Cercò di telefonare all’agenzia immobiliare West Oahu Realty, ma dopo 15 tentativi gettò il satellitare sulla poltrona e cominciò a scrutare l’orizzonte ormai scuro. Le sterline rimaste sul suo conto corrente ammontavano ancora a diverse centinaia di migliaia. Non gli rimaneva che mettersi al PC e progettare un nuovo inizio altrove.
Rientrò. La schermata di internet era di quelle che non vorresti mai vedere: non c’era linea. Controllò il router e il responso non lasciò adito a dubbi: linea assente. Riaccese la TV e una nebbia grigiastra e ronzante gli riempì gli occhi. Che succedeva? Spense e riaccese. L’immagine rassicurante di BBC News gli apparve.
«Ci scusiamo per l’interruzione. Purtroppo la nube dell’eruzione ha raggiunto i 30 kilometri di altezza e sta dando qualche problema alle comunicazioni satellitari. E’ possibile che nelle prossime ore la situazione peggiori ulteriormente. L’isola di Hawaii è esplosa con un boato udito fino a New York e a Mosca. Il centro del Pacifico ha lanciato un allarme tsunami, per un’onda che potrebbe essere peggiore di quella del terremoto dell’Oceano Indiano nel 2004 e del Giappone nel 2011. L’allarme riguarda tutto il Pacifico, in ogni direzione. Le prime ad essere colpite sono state le isole settentrionali dell’arcipelago, con un effetto devastante, come potete vedere dalle ultime tragiche immagini inviateci dal nostro corrispondente prima dell’interruzione, crediamo definitiva, del collegamento». Nessun film, per quanto catastrofico, può rendere il terrore trasmesso dal filmato che seguì. Pochi secondi, poi l’onda. La telecamera aveva continuato a riprendere, trascinata in un fiume vorticoso di detriti, tra i quali si vedevano volti di persone che morivano. Un inferno d’acqua fumante – sulla pelle di una delle persone comparivano bolle gigantesche da scottatura. Uno, due minuti. Poi il buio totale, un nero da cui non proveniva nessuna parvenza di luce, nessun riflesso. Il nulla sul megaschermo da 67 pollici era ancora più agghiacciante. Fu allora che il pavimento del bungalow cominciò a tremare, per un tempo infinito. «Arriva in questo momento la notizia di un tremendo terremoto che sta scuotendo come una tovaglia tutto il Pacifico, fino all’Indonesia e oltre. Per il momento non abbiamo altre notizie. La Direzione ha deciso di trasmettere, tra un notiziario e l’altro, musica e immagini adatte alla circostanza. Ci uniamo al dolore e al cordoglio di chi è stato colpito da questa sciagura planetaria e vi salutiamo. La prossima edizione tra 15 minuti circa».
Non riuscì a dormire in quella notte nella quale la musica della tv, trasmessa senza più notizie, era disturbata dal sordo ringhio del tremore del pavimento. Alle prime luci dell’alba uscì a fumare l’ennesima sigaretta. Pensava che era la seconda volta che la pace di quel paradiso terrestre veniva scossa da quando aveva trasferito lì la sua esistenza. La prima era stata il giorno che sua moglie Greta aveva all’improvviso vomitato sangue. La corsa in idrovolante all’ospedale dell’arcipelago era servita solo per sentir formulare la condanna a morte: due mesi, non di più, forse anche meno. Molto meno. Greta era spirata tra le sue braccia tre settimane più tardi, dopo l’ennesima iniezione di morfina iniettata nel tentativo di scacciare i morsi crudeli del dolore che le stritolava la carne come una tagliola, scatenando assurde urla. La morte della persona amata lo persuase ancora di più della necessità di restare a vivere in quell’eremo dorato, aspettando il suo ultimo giorno senza pensiero alcuno.
Il rumore aumentò di intensità. Giro sull’altro lato della piattaforma e la vide: un’onda paurosamente alta, tanto alta che in un primo momento pensò che una montagna si fosse sollevata dal fondo dell’oceano. Corse dentro il bungalow, afferrò lo zaino d’emergenza che teneva sempre pronto, uscì dall’altro lato e si gettò sull’idrovolante. Accese il motore e si lanciò sulla superficie dell’acqua a tutta velocità, decollò e salì con un’impennata che fece vibrare la carlinga e le ali. Poi, lentamente, portò l’aereo in orizzontale e virò verso il capoluogo dell’arcipelago, in direzione dell’onda. Mentre ne sorvolava la cresta il parabrezza venne colpito da una sferzata violenta di spruzzi salati. Arrivato al di là non vide che mare. Dov’erano gli altri atolli? Scese verso le onde e la vide: una distesa di detriti e di cadaveri galleggiava, andando alla deriva. L’aereo non aveva più di quattro ore di autonomia. Fece una virata di 360° e si diresse verso il mare di Bismarck: con un po’ di fortuna avrebbe raggiunto Latangai Island o New Britain, magari ammarando poco lontano dalla costa di una delle due grandi isole, dove ricominciare o trasferirsi in Papua Nuova Guinea per rimettere insieme i resti di una vita. Nella speranza che i suoi conti bancari telematici fossero rimasti intatti.
Mai come in quel momento l’oceano gli aveva versato dentro il cuore tanta paura.    



 
 
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