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Andiamo al cinema

A Cura di Fabrizio Albert

TIMBUKTU
Regia: Abderrahmane Sissako. Mauritania, Francia 2014. Sceneggiatura:  A. Sissako Montaggio:  Nadia Ben Rachid Fotografia: Sofian El Fani. Musiche:Amin Bouhafa, Ali Farkà Tourè, Ry Cooder Interpreti: Ibrahim Ahmed, Toulou Kiki, Abel Jafri,Layla Walet Mohamed, Fatoumata Diawara.
Se è possibile raccontare l’orrore e l’aberrazione attraverso la poesia e la bellezza delle immagini, bisogna dire che il regista maliano c’è riuscito mirabilmente.  Splendido film, presentato a Cannes nel 2014 e candidato agli Oscar come miglior film straniero, in cui il regista Sissako racconta l’occupazione di Timbuktu da parte dei  jihadisti dell’ISIS  attraverso le  vicende di una serena famiglia di pastori ( Kidane, sua moglie, una figlia piccola e un giovane pastorello che li aiuta ), che vivono tranquillamente la loro vita in una tenda fuori Timbuktu. Attraverso  il racconto della vita degli abitanti, sconvolta dalla violenza ideologica e religiosa degli occupanti, veniamo a conoscenza delle imposizioni, delle punizioni, delle assurde regole di vita cui vengono costretti  tutti, ma in particolare le donne, senza nessuna possibilità di scampo e nessuna pietà, nemmeno con l’intercessione del  mite Imam. Vengono vietate la musica, lo sport, le sigarette, qualunque divertimento e soprattutto qualunque contatto “impuro”.   Memorabile la partita di pallone giocata in silenzio sotto il sole, senza la palla, come in un mimo al rallentatore…   Tutto questo mentre  la marmaglia occupante balla, fuma, va a donne e impone tribunali e sentenze di condanna irrevocabili per tutto ciò che non risponde ai loro dettami. Ci sono delle scene bellissime e terribili che penso rimarranno nella memoria di tutti proprio per questo accostamento di splendidi paesaggi, colori, danza, musica ed estrema violenza ideologica e fisica, come la lapidazione di una giovane coppia con due figli, colpevole di non essere  sposata. Purtroppo anche la nostra famigliola incappa nel tribunale islamico per colpa di una vacca uccisa e della relativa vendetta e ne subirà le inevitabili conseguenze. Solo una  corsa infinita del pastorello, senza una meta, può far  pensare a qualche ottimista che forse qualcuno si salverà…Grande messaggio di denuncia da parte del regista dei danni che subiscono gli stessi mussulmani tolleranti e moderati di fronte all’esplosione  della  violenza cieca dei fondamentalisti…  Ora Timbuktu è stata liberata dopo violenze e distruzioni (tra cui la famosa biblioteca di valore inestimabile), ma fino a quando?
MIA MADRE
Regia: Nanni Moretti.Italia   2015. Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella           Fotografia: Arnaldo Catinari. Montaggio: Clelio Benevento.Musiche:  Olafur Arnalds, Leonard Cohen. Interpreti: Margherita Buy, John Turturro, Nanni Moretti, Giulia Lazzarini, Stefano Abbati, Beatrice Mancini, Enrico Ianniello, Anna Bellato, Toni Laudadio, Pietro Ragusa, Tatiana Lepore, Lorenzo Gioielli.   
Presentato a  Cannes in concorso quest’anno, secondo il mio   parere è uno dei più bei film di Nanni Moretti.  E’ la storia di una regista in un  periodo particolarmente difficile della sua esistenza, in cui problemi  personali, affettivi, lavorativi si intrecciano e si confondono in un insieme complicato, da cui in qualche modo bisogna tentare di venir fuori.  La regista, Margherita Buy, sta girando un film sul mondo del lavoro in una grande fabbrica, con un bizzarro attore americano capace solo di innervosirla e suscitarle reazioni rabbiose e incontrollate. Ha molti dubbi su come  portare avanti il film e il rapporto con questo strano attore. Si è appena separata dal marito, ha una figlia adolescente con i suoi problemi di studio e di relazione, ha da gestire i contrattempi della vita di tutti i giorni, ma soprattutto ha una madre malata che accudisce insieme al fratello e che piano piano scivola lucidamente verso la morte. In tutta la storia l’accompagna calmo e paterno, il fratello, Nanni Moretti, quasi un angelo custode ( da qui la citazione de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders?), a farle da contrappunto critico e da riferimento, in un continuo rinvio alla vita reale, ai ricordi, al sogno. Il regista questa volta si sdoppia, si immedesima nel personaggio della Buy, ma nel contempo se ne distacca, la osserva, la scruta, la critica…ma soprattutto si lascia finalmente prendere dal  sentimento in maniera sensibile e misurata quando allude alla perdita della madre cui era particolarmente legato, tanto da citarla in tanti suoi film. La splendida recitazione di Giulia Lazzarini ci fa partecipare alla malattia e alla vita passata di questa madre, professoressa colta e benvoluta da intere classi di liceali per cui era diventata un punto di riferimento, di cultura e di vita, anche all’insaputa dei figli. Le scene della comunicazione telefonica della morte della nonna, con il pianto silenzioso della nipotina sotto le coperte, della libreria piena di volumi di autori classici tanto studiati e amati che forse diventeranno  inutili, le rievocazioni degli studenti , sono tutti  momenti di straordinaria intensità emotiva, intima e pudica, in un ideale confronto con la società attuale, esibizionista e volgare, in cui tanto spesso il dolore viene urlato e pubblicizzato. Un film complesso, in cui il regista è sempre ben presente e partecipe e in  cui, secondo me, dà il meglio di se sia come regista che come attore.
Vorrei segnalare qui un film/documentario uscito in aprile di quest’anno, non più nelle sale, ma probabilmente recuperabile. Si intitola “I BAMBINI SANNO” ed è il secondo film di Walter Veltroni dopo “Quando c’era  Berlinguer”. Si tratta di interviste fatte a bambini tra gli 8 e i 13 anni, di sorprendente spontaneità e sincerità. I  temi affrontati sono i  più vari, anche scabrosi, e le risposte, associate alla mimica dei bambini, ripresi per lo più da vicino da una telecamera fissa, ci danno veramente uno  spaccato dell’Italia di oggi, quasi incredibile. I punti di vista sono  i più vari, i bambini sono maschi e femmine, ricchi e poveri, religiosi e no, immigrati e Rom e ci fanno veramente intendere come certi problemi per noi  fonti di infinite diatribe teoriche e morali siano per loro del tutto irrilevanti, mentre altri, come i problemi economici o famigliari,  magari sentiti dagli adulti  e interiorizzati, siano fonte di preoccupazione e di angosce. Un documentario bello, piacevole, interessante, assai godibile che ci offre un originale punto di vista sull’Italia di oggi e, magari, di domani.
MOMMY
Regia: Xavier Dolan. Francia  2014. Sceneggiatura: Xavier Dolan. Montaggio: Xavier Dolan              Fotografia: André Turpin. Interpreti:  Antoine Olivier Pilon, Anne Dorval, Suzanne Clément, Patrick Huard.
Un film che segnalo quasi per contrasto con il documentario precedente. Un film duro, iper-realista, girato con una crudezza e una originalità particolare da un regista canadese francofono, appena venticinquenne. Ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes nel 2014 anche per la sua originalità tecnica, con lo schermo che spesso si deforma, si restringe, si allarga  in una panoramica,  si modifica a seconda dell’inquadratura prevista e della situazione. La giovane età del regista, che ha iniziato a presentare le sue opere  già a 19 anni e a vincere premi su premi, ci rende partecipi di un problema solo da poco venuto alla ribalta della cronaca: la cosiddetta patologia da deficit di attenzione,  da cui è affetto il giovane protagonista. Il film racconta la sua storia di perenne ricerca di affetto, di libertà, ma anche di violenza e di incapacità di comunicare con il prossimo. Racconta il suo rapporto patologico con la madre dal look aggressivo, Diane, single a sua  volta sboccata, impulsiva, a tratti violenta, del tutto incapace di gestire la  propria vita economica ed affettiva, e del loro tentativo di stabilire in qualche modo un modus vivendi, aiutati da una vicina, insegnante balbuziente un po’ depressa, entrata quasi per caso nella loro vita e divenuta viceversa un elemento fondamentale per la loro ricerca di equilibrio. La storia è un continuo andirivieni tra situazioni di ottimistica speranza di sistemazione e di benessere, di affettività incondizionata e assoluta tra madre e figlio e viceversa un precipitare cupo nella violenza e nella disperazione, con drammatici ricoveri coatti e altrettanto drammatici tentativi di fuga. Non è certo un film facile da digerire né sereno, ma l’attualità e l’originalità della situazione e delle riprese  lo rendono assai meritevole di attenzione e di riflessione.    
YOUTH/LA GIOVINEZZA
Regia: Paolo Sorrentino. Svizzera, Francia, Gran Bretagna, Italia  2015. Soggetto e sceneggiatura: Paolo Sorrentino   Fotografia: Luca Bigazzi    Montaggio: Cristiano Travaglioli. Musiche: Daniel Lang. Interpreti: Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda
Presentato in concorso al festival di Cannes quest’anno, lodato dalla critica e campione di incassi al botteghino, l’ultimo film di Paolo Sorrentino ha riscosso un bel successo.  Si svolge in gran parte in un grande albergo termale in Svizzera, dove due amici di vecchia data, ormai anziani, abitualmente si incontrano, si raccontano, ricordano, si confidano, mugugnano, ma soprattutto osservano e commentano la vita intorno a loro. Uno dei due, Fred Ballinger, è un anziano direttore d’orchestra, ormai in pensione, che ha da tempo smesso l’attività e non ha nessuna intenzione di  riprenderla, nonostante le  insistenze di un emissario nientemeno che della Regina Elisabetta che lo vorrebbe a Londra per il compleanno del Principe Filippo a dirigere una sua composizione giovanile. L’altro,  Mick Boyle, viceversa, nonostante l’età è ancora pienamente attivo come  regista e sta concludendo la sceneggiatura del suo ultimo film con l’aiuto di una squadra di giovani assistenti brillanti e motivati. Intorno ai due, però, si muove  una congerie di altri personaggi: la figlia del direttore d’orchestra, mollata vigliaccamente dal fidanzato nonché figlio del regista e consolata da un rustico scalatore  che la porta (letteralmente) in equilibrio sulla parete di  una palestra di roccia e le fa provare un nuovo brivido esistenziale; la vecchia amica attrice di Mick (Jane Fonda), su cui il regista puntava molto, che lo abbandona al suo destino dopo averlo svillaneggiato e messo difronte al suo fallimento;  una bellissima vincitrice di un concorso di bellezza che suscita l’interesse e il rimpianto degli anziani guardoni; il giovane attore entusiasta che cerca  un nuovo ruolo in un film intellettuale dopo i successi di cassetta;  la squadra di giovani sceneggiatori impegnati, in cerca di un finale per il film, che non si riesce a concludere… I  due amici osservano, commentano, fanno battute, mentre si rincorrono  nel film bellissime inquadrature della montagna, fantasie, immagini oniriche in cui il richiamo a Fellini è inevitabile… Quando  tutto sembra concludersi con queste riflessioni sulla vita e sulla vecchiaia, improvvisamente il film si riapre con un gesto  inaspettato del regista, evidentemente non così motivato e appagato dall’esistenza e questo  scatena una reazione vitalistica e di autocritica dell’anziano direttore, che riprende in mano il suo destino, ritorna a trovare la moglie, che tutti pensavano deceduta, in un  ricovero per dementi a Venezia e accetta finalmente di suonare le sue musiche, composte per la moglie tanti anni prima, difronte alla Regina e al consorte. Come nel film precedente, “ La grande bellezza”, per la mia particolare sensibilità è tutto un po’ troppo, un po’ troppo verboso, un po’ troppo immaginifico, un po’ troppo tirato in un finale che non giunge mai a conclusione: insomma, sicuramente un bel film, ma con un equilibrio non ancora del tutto raggiunto.                      

 
 
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