AGNUS DEI Francia, Polonia 2016Regia: Anne Fontaine Sceneggiatura: S.B.Karine, A.Fontaine, P.Bonitzer, A.Vial
Fotografia. C.Champetier Musiche: G.Hetzel Interpreti: Lou de Laage, Vincent Macaigne,
Agata Kulesza, Agata Buzek, JoannaKulig, KatarzynaDabrowska, Thomas Couman
Forse solo una donna regista poteva rendere la complessità di una situazione così drammatica e portarla a soluzione con un messaggio nel contempo di speranza, di ottimismo e di condivisione.
La storia è vera e riguarda una giovane dottoressa della Croce Rossa, mandata in missione in Polonia subito dopo la guerra, nel ’45, per assistere e riportare in Francia i soldati sopravvissuti. Già l’autonomia di pensiero e l’indipendenza della ragazza la dicono lunga sulle scelte femministe che la regista normalmente persegue nei suoi films: si tratta, infatti, di una ragazza giovane e bella, sola, in un teatro di guerra, in mezzo a soldati e a colleghi chirurghi tutti maschi , in uno scenario di per sé drammatico e pericoloso. La cosa, tuttavia, si complica e si arricchisce di nuovi spunti quando la ragazza viene chiamata d’urgenza da una suora del vicino convento di clausura e si trova a dover affrontare sui due piedi un cesareo per un parto podalico (!?!). Purtroppo, come dice la Superiora, la fine della guerra non significa la fine delle violenze e la giovane chirurga, MathildeBeaulieu, entrata nel convento incredula e dubbiosa, si trova difronte al racconto di uno stupro perpetrato dai soldati sovietici nei confronti delle povere suore, ben sette delle quali rimaste gravide. Così la dottoressa, laica e senza particolari problemi morali, si deve confrontare con i pensieri, i sentimenti, i pudori, le paure delle consorelle e le loro reazioni, già solo dubbiose nell’affrontare una visita medica ( in particolare ginecologica…), figuriamoci poi nei confronti di una gravidanza e del parto. Le storie e i vissuti delle sorelle sono naturalmente differenti, dalla Superiora che assolutamente vuole mettere tutto a tacere, anche a costo di far morire i bambini, al risveglio della coscienza del proprio corpo e del senso materno di qualcun’altra, non disponibile assolutamente a staccarsi dal proprio bambino e desiderosa di farlo nascere e crescere.
I vari problemi naturalmente si aggrovigliano e sono assai complessi ( il voto di castità, la gerarchia, l’obbedienza, la clausura, la fede e nel contempo la natura con i suoi cicli vitali, la fisicità, la maternità) e la dottoressa, all’inizio scettica e distaccata, viene lentamente coinvolta, anche con grave pericolo personale, in questo mondo a parte, grazie alla mediazione di una suora che parla francese e che le fa intendere che lei è la loro unica speranza di vita e di salvezza.
La regista, anche sceneggiatrice, adattando la storia dal diario scritto dalla vera dottoressa francese, Madeleine Pauliac, esamina le varie situazioni con occhio laico, ma partecipe e sensibile, cercando di coinvolgerci a comprendere senza necessariamente giudicare, anche dove saremmo portati allo sdegno e al rifiuto di qualche situazione estrema.
La soluzione trovata dalla dottoressa, che consente di salvare la maggior parte dei bambini e nel contempo la condotta delle suore, senza creare scandalo, ma anzi stimolando un comportamento umano e altruista che si fa carico, in una unica comunità, anche degli orfanelli di guerra, ci rasserena e ci offre una visione ottimistica del futuro, dopo il dramma della guerra e della violenza. Quello che alla fine risalta di più, al di là delle visioni ideologiche e personali così differenti, è la solidarietà femminile, la partecipazione umana, la sensazione di condivisione di un destino nonostante tutto.
Forse merita sapere che la regista ha adottato un bambino vietnamita nato da uno stupro e ha due religiose in famiglia…chi meglio di lei poteva comprendere la situazione?
IL CLIENTE Iran, Francia 2016Regia: AsgharFarhadi
Sceneggiatura: AsgharFarhadi
Fotografia: HosseinJafarian
Interpreti: ShahabHosseini, TaranehAlidoosti, Babak Karimi, MehdiKoushki, FaridSajjadiHosseini, EmadEmam, AmadEmami, Maral Bani Adam, Mina Sadati
Un bel film, intenso, profondo, coinvolgente, di analisi e approfondimento della complessità dell’animo umano e della società attuale, in Iran ma non solo.
La storia si svolge a Teheran, oggi. Protagonista è una giovane coppia assai affiatata, moderna, di idee aperte. Lui è insegnante al liceo, ma entrambi recitano al teatro alla sera e sono i protagonisti di “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. La vicenda della coppia si intreccia con la messa in scena teatrale, in un continuo rimando tra realtà e finzione. Si parte da una apparente banalità del tutto casuale (…il fato…), ma, man mano che la storia va avanti, si approfondiscono le responsabilità individuali e le conseguenze di scelte e comportamenti.
Emad e Rana sono costretti ad abbandonare temporaneamente il loro appartamento a causa di un cedimento strutturale dell’edificio. Vengono aiutati da un amico attore che mette a loro disposizione un suo appartamento appena liberato da una donna, a quanto pare di facili costumi, che riceveva i clienti in casa. Suona un campanello e Rana, istintivamente, pensando che sia il marito, apre la porta di casa mentre sta facendo la doccia. Purtroppo, invece, sale uno dei clienti della prostituta che, eccitato, le usa violenza e scappa.
Da qui parte l’analisi del film, scavando nel non detto, nei rapporti di coppia, nel vissuto personale dei due personaggi che si confrontano con se stessi e nel contempo con il pubblico in teatro. Rana non vuole che il marito vada alla polizia a denunciare la cosa, non vuole che si sappia nulla, ma nel contempo ha paura, l’insicurezza si insinua nella sua vita e nella sua recita. Il marito, pur essendo laico e moderno, non ce la fa a sopportare l’affronto e cerca una vendetta personale che purifichi e cancelli l’onta.
Inizia una spietata caccia al colpevole, portata avanti con assoluta determinazione, che inchioda lo spettatore alla sedia fino alla fine. Emad troverà l’aggressore, ma quello che avrà difronte sarà in realtà più debole e indifeso di lui e coinvolgerà l’intera famiglia in una punizione al contempo simbolica e crudele, dalle conseguenze impreviste. Delitto e castigo non risolveranno i dubbi e le inquietudini dei protagonisti, anche se la fine non sarà come la morte del commesso viaggiatore, ma un profondo malessere personale e di coppia. Dramma moderno che esamina i rapporti tra il caso e le reazioni individuali, la responsabilità morale, il vissuto di un uomo (…maschio) e la società in cui vive, in trasformazione, ma pur sempre legata a comportamenti e tradizioni ataviche.
Premiato a Cannes e in corsa per l’Oscar ( il secondo per il regista dopo “La separazione”, altro splendido film), Farhadi ha rinunciato ad andare in America per solidarietà con i connazionali dopo i vergognosi provvedimenti restrittivi di Trump nei confronti degli immigrati, in particolare iraniani. Speriamo che anche questo serva a risvegliare la coscienza e la ribellione dei cittadini degli Stati Uniti!
NERUDA Cile, Argentina, Francia, Spagna 2016
Regia: Pablo Larraìn
Sceneggiatura: Guillermo Calderòn Fotografia: Sergio Armstrong
Musiche: Juan Federico Jusid
Montaggio: HervèSchneid
Scenografia: EstefaniaLarraìn I
nterpreti: Luis Gnecco, Mercedes Moran, Gael Garcia Bemal, Emilio GutierrezCaba
Film assai controverso, a giudicare dalle critiche, entusiastiche di qualcuno e stroncanti di altri. La storia si svolge nel 1948, a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, in Cile, dove il governo, eletto anche con i voti della sinistra, decide di allinearsi alla politica statunitense e di mettere fuori legge il partito comunista. Neruda è già famoso in patria, molto amato come poeta e scrittore, è senatore comunista e denuncia con i suoi discorsi la politica del presidente Videla che, a questo punto, dà ordine al prefetto di polizia Oscar Peluchonneau di arrestarlo.
La storia del film viene raccontata in prima persona dal poliziotto ( personaggio inventato, ma funzionale come alter-ego negativo del poeta), in un tentativo malriuscito di riscatto di sé stesso, del suo lavoro e delle sue umili origini. La fuga e l’inseguimento servono al regista per illustrare a modo suo il personaggio di Neruda, una specie di narciso donnaiolo egocentrico e sprezzante del pericolo, per sé e soprattutto per gli altri, vanaglorioso e spavaldo. Invece, secondo Larraìn, la fuga serve al poeta per ingigantire l’immagine di se, per stimolare l’ispirazione ( di qui avrà origine la raccolta di poesie “Canto general”), tanto da voler creare con il suo persecutore una specie di gioco al gatto e al topo, seminando il suo percorso di indizi, addirittura provocando il poliziotto e chiamandolo quando, in mezzo alla neve sulle Ande, sta per attraversare il confine. Alla fine Neruda, come deciso dal partito comunista cileno, riuscirà ad espatriare clandestinamente e continuerà in Europa la sua vita di esule privilegiato, fra inviti, cene e belle donne, fino al premio Nobel nel 1971.
Pablo Larraìn, figlio dell’ex presidente dell’Unione Democratica Indipendente, partito conservatore molto invischiato con il potere, prosegue la sua analisi del Cile, della sua storia, della sua politica, da un punto di vista molto personale, non sempre condivisibile. Non si sa se abbia voluto smitizzare il grande poeta, svelarne i lati più ambigui di borghese e gaudente, pur riconoscendo come la gente del popolo fosse legata a lui, alla sua poesia letta e recitata tante volte, anche durante la prigionia. Un film ambiguo che lascia un po’ sconcertati anche volendolo solo considerare una favola su Neruda e il suo mito e non una vera biografia. Un film da discutere…