Menu principale:
Midnight in Paris
USA, Spagna 2011 Regia: Woody Allen Sceneggiatura:W.Allen Fotografia: D.Khondji Montaggio: A.Lepselter Scenografia: A.Seibel Costumi: S.Grande Interpreti: O.Wilson, R.McAdams, K.Fuller, M.Kennedy, M.Sheen, N.Arianda, C.Bruni, M.Cotillard, L.Seydoux
To Rome with love
USA 2012 Regia: Woody Allen Soggetto e sceneggiatura: W.Allen Fotografia: D. Khondji Montaggi: A.Lepselter Scenografia: A.Seibel Costumi: S.Grande Interpreti: A.Baldwin, R.Benigni, P.Cruz, J.Davis, J.Eisenberg, A.Albanese,F.Armiliato,A.Mastronardi,O.Muti,F.Parenti
Nell’ultimo numero del Giornalino volevo recensire il film di Woody Allen Midnight in Paris che era uscito da poco, ma lo spazio era insufficiente e ho preferito rinviare al numero successivo. Ora, a distanza di pochi mesi, è uscito un nuovo film del regista americano, To Rome with love, che sembra registrare un grande successo di botteghino. Li accomuno in un’unica recensione perché si può ben immaginare che in un tempo così breve anche un grande regista come W. Allen difficilmente sia in grado di sfornare due capolavori. Ormai, a mio avviso, i suoi film sono più delle riflessioni nostalgiche, dei ricordi sognanti, delle citazioni letterarie, un gioco della memoria cui indulge un regista ormai anziano, piuttosto che dei films realmente strutturati. Sono dei flash, dei ricordi di quando Allen, più giovane, girava l’Europa con la meraviglia di un turista americano colto, amante dell’arte, della letteratura, della musica, delle bellezze naturali e architettoniche, memore della storia passata. Ora rievoca evidentemente quelle esperienze trasfigurandole in storie fantastiche, irreali che incrociano presente e passato, senza neppure la necessità di seguire un discorso, una trama ben definita.
In Midnight in Paris uno sceneggiatore americano, giunto a Parigi con fidanzata, parenti e amici insopportabili, si lascia trasportare dalla fantasia e dai sogni e a mezzanotte viene materialmente portato nel passato in un’auto d’epoca, incontrando grandi scrittori come Scott Fitzgerald,Gertrude Stein, Hamingway a loro volta a Parigi ai tempi della Ville lumiére, o grandi pittori, da Picasso agli impressionisti, risalendo sempre più indietro nel tempo. Il regista ammicca allo spettatore più colto con una serie di richiami letterari e pittorici, ma il tutto si risolve in una galleria di personaggi evocati dai ricordi del regista.
Nel più recente To Rome with love la situazione più o meno si ripete, con una serie di storie intrecciate, legate a turisti giunti dagli USA, con varie implicazioni affettive con personaggi italiani assai stereotipati. La visione è quella tipica del visitatore d’oltreoceano, con i suoi miti e pregiudizi, con i ricordi della città e delle musiche di una volta e, forse, delle suggestioni di una Roma ora assai cambiata, tranne che nell’immaginario del regista. Splendide immagini di Parigi e di Roma, battute argute e scoppiettanti disseminate qua’ e la’, qualche situazione divertente non bastano, ahimè, a fare un grande film. Dopo più di quaranta films, quasi uno all’anno dal 1969, forse ci vorrebbe una pausa di riflessione per creare un’opera veramente nuova e significativa come i suoi films più grandi degli anni ottanta. Prendiamoli quindi come degli omaggi alla nostalgia e alla memoria da parte di un grande regista che, purtroppo, come tutti, sta lentamente invecchiando.
Le nevi del Kilimangiaro
Francia 2011 Regia: Robert Guédiguian Sceneggiatura: R.Guédiguian,J.L.Milesi Fotografia:P.Milon Montaggio: B.Sasia Suono: L.Lafran Interpreti: .Ascaride,J.P.Daroussin, G.Leprince-
Regista da sempre impegnato nell’ambito del sociale, Robert Guédiguian ha scritto e diretto un film molto attuale, pur ispirato alla poesia “ les pauvres gens “ di Victor Hugo nel finale “buonista”. Il titolo deriva dalla canzone di Pascal Daniel che l’accompagna. Si svolge a Marsiglia, città simbolo del regista, dove Michel e Claire vivono la loro vita tranquilla fatta di lavoro, famiglia e impegno politico. Se è vero, tuttavia, che il licenziamento di Michel, quasi in età di pensione, non porta grandi sconquassi e viene metabolizzato serenamente, succede viceversa che la tranquillità venga spezzata da due rapinatori armati che entrano in casa e li derubano dei loro risparmi. Lo svolgimento del film porta alla scoperta traumatica da parte di Michel che l’autore del furto non è altro che un collega di lavoro, con lui licenziato. Da qui sorgono una serie di interrogativi profondi sul significato dell’esistenza, dell’impegno politico, sull’etica del lavoro, sul rapporto tra “vecchi” e “nuovi” operai, sulla “classe operaia” di una volta e la solidarietà. I dubbi e le tristezze dei protagonisti vengono alla fine risolti in un finale edificante di impegno e solidarietà che riesce a darci ancora un po’ di speranza e di fiducia, in questi tempi così difficili.
Cesare deve morire
Italia 2012 Regia: Paolo e Vittorio Taviani Sceneggiatura: P.e V.Taviani Fotografia: S.Zampagni Montaggio: R.Perpignani Musiche: G.Taviani,C.Travia Interpreti. C.Rega, S.Striano, G.Arcuri, A.Frasca, J.D. Bonetti, V.Gallo
Splendido film, a mio avviso uno dei migliori dei fratelli Taviani, vincitore dell’Orso d’oro all’ultimo festival di Berlino, ahimè penalizzato dalla distribuzione che, dopo l’uscita, lo ha relegato rapidamente nelle sale d’essay. Vale la pena di scovarlo, magari in cassetta, per il gusto di scoprire come un film girato all’interno di un carcere, da attori non professionisti, per la gran parte in bianco e nero, possa diventare un grande film sotto la guida di due grandi registi. E’ la storia vera della messa in scena del “Giulio Cesare” di Shakespeare da parte di un gruppo di detenuti, all’interno del carcere di Rebibbia. Si parte dal loro arruolamento come attori, si seguono le prove, i problemi che insorgono, i rapporti tra i non facili personaggi che prestano il loro vero volto e scoprono se stessi, in un continuo rapporto tra realtà e finzione che ci fa conoscere il carcere nella cruda dimensione quotidiana, senza sconti per nessuno, e l’impegno vero dei personaggi nella memorizzazione del testo, nella recitazione, nell’interpretazione, con le riflessioni che ne derivano e i riflessi sulla coscienza di ognuno. I luoghi sono le stanze, i corridoi, i cortili del carcere, i costumi sono poveri e inventati, la recitazione intensa e partecipata, da grandi attori. Solo nel finale la scena diventa a colori, nelle ultime battute della vera rappresentazione, applauditissima all’interno del carcere. La battuta, divenuta ormai famosa, di uno degli attori-
Romanzo di una strage
Italia 2012 Regia: M.T.Giordana Soggetto e sceneggiatura: M.T.Giordana, S.Petraglia, S.Rulli Fotografia: R.Forza Montaggio: F.Cavalli Musiche: F.Piersanti Scenografia: G.Basili Costumi: F.Sartori Interpreti: P.Favino, V.Mastrandrea, M.Cescon, L.Chiatti, F.Gifuni, L.Lo Cascio, G.Colangeli, O.Antonutti.
Con il consueto stile asciutto e documentario, il regista Marco Tullio Giordana, già autore di almeno due notevoli films “politici” come “ I cento passi” e “ La meglio gioventù”, ha sceneggiato e diretto “Romanzo di una strage”, meritoriamente riprendendo in mano la vicenda della strage di Piazza Fontana ( Milano, 12 dicembre 1969 per coloro che non se lo ricordassero ), per offrire la sua ricostruzione della storia. Il tentativo di dare una interpretazione plausibile alla vicenda si scontra con i depistaggi, le manomissioni, le omissioni, gli occultamenti che in tutti questi anni sono stati messi in atto dai vari agenti responsabili della strategia della tensione che a tutt’oggi, malgrado il riconoscimento della matrice politica neonazista e delle retrostanti trame eversive, non ha portato alla condanna e alla incarcerazione dei responsabili. Giordana analizza i documenti, esamina le varie prospettive dividendo il film in capitoli e ponendo in evidenza depistaggi, connivenze e occultamenti di prove in maniera lucida e analitica. Certo, per chi ha vissuto direttamente quegli eventi e i successivi, con le bombe, i tentativi di golpe, i vari “Gladio” e “Stay behind”, l’emozione della ricostruzione è assai coinvolgente e le trame, probabilmente, assai più comprensibili, ma anche per chi non c’era il film è utile per far capire cosa realmente stava succedendo e i pericoli di dittatura che abbiamo corso in quegli anni. Non è facile districarsi tra nomi, tracce varie e interlocutori diversi, ma è un esercizio di comprensione necessario e il regista conduce per mano lo spettatore in un tentativo esplicativo e chiarificatore quasi con intento didattico. L’epicentro della storia, tuttavia, nell’ottica del “romanzo”, sono le due storie parallele di Pinelli e Calabresi, in vario modo soggette a interpretazioni e revisioni molteplici in tutti questi anni e che, viceversa, il regista cerca di raccontare in modo “umano”, cercando di recuperare il senso di due vite perdute, al di la’ delle responsabilità loro attribuite e delle interpretazioni politiche dei personaggi, da destra e da sinistra. Il film acquista così una umanità e una soggettività interpretativa da molti critici messi in conto negativamente al regista, con qualche accusa di revisionismo e di “buonismo”, mentre, a mio modo di vedere, nulla tolgono al documentarismo e alla serietà del film. La recitazione intensa e partecipata dei molti interpreti ( straordinaria, tra gli altri, l’interpretazione di Aldo Moro da parte di Fabrizio Gifuni) aggiunge merito al film, sicuramente da vedere e consigliare agli ignari e ai dimentichi.