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Chi pecora si fa,..

a cura di Claudio Ciprandi
Chi pecora si fa, lupo se lo mangia…

… lupo forse sì, Ciclope un po’ meno!
Anche chi, della monumentale “Odissea” di Omero abbia solo un ricordo superficiale non può non rammentare l’episodio in cui Ulisse ed i suoi compagni, dopo averlo accecato, riescono a sfuggire dalle grinfie di Polifemo.
… La mattina dopo, mentre Polifemo faceva uscire il suo gregge per liberarlo, giacché lui non sarebbe stato più in grado di guidarlo, Ulisse e i suoi soldati scapparono grazie a un altro abile stratagemma, che faceva parte della terza parte del suo piano. Ognuno di loro si aggrappò infatti al vello del ventre di una pecora per sfuggire al tocco di Polifemo, poiché il Ciclope si era posto davanti alla porta della caverna, tastando ogni pecora in uscita per impedire ai Greci di fuggire. Ulisse, ultimo ad uscire dalla grotta, la fece aggrappato all'ariete più grande, la preferita del Ciclope...
“Facendosi pecora” Ulisse e suoi compagni riescono a salvarsi la vita, ma quando pecora lo si è veramente e non si incontra lo stolto e orbo ciclope ma lo scaltro lupo, le cose vanno, inevitabilmente, in modo diverso:
L’attacco al gregge è come un cataclisma improvviso. In mezzo al gregge il lupo sembra impazzire. Tiene un comportamento condizionato da un’ebrezza incontenibile. E’ il terrore nell’aria che lo eccita. Le pecore scappano, e più scappano in modo convulso più lui si eccita, e perde di vista l’obiettivo. Si avventa, affonda i denti nel collo di una, e subito è attratto dalla fuga di un’altra. Fa una strage. Ammazza più pecore di quante riuscirebbe a mangiarne. Così sul terreno, dopo la sua comparsa, rimane una carneficina che raggela il pastore. E’ capitato persino che le pecore protette in un recinto si ammassassero in un angolo e morissero soffocate per il terrore, anche se magari il lupo, in quel recinto, non era neppure entrato. E’ la devastazione.
Questa descrizione drammatica e coinvolgente è tratta, quasi paradossalmente, da un libro che si pone l’obiettivo, tra le altre cose, di confutare credenze e superstizione che da millenni caratterizzano il rapporto tra lupo e uomo.
Il libro ha per titolo La via del lupo. Nelle natura selvaggia dall’Appennino alle Alpi, lo ha scritto Marco Albino Ferrari ed è stato pubblicato da Editori Laterza.
A passo lento, l’autore ripercorre l’antica via che da secoli i branchi di lupi hanno percorso quando l’Italia non era ancora un paese industrializzato e che stanno riprendendo a percorrere oggi che il nostro Paese sta vivendo un’apparente inarrestabile fase di deindustrializzazione.
Curiosamente la “Via del Lupo” ha origine dall’altopiano di Castelluccio di Norcia, un luogo, purtroppo, arrivato alle cronache recentemente in quanto geograficamente vicino all’epicentro del terremoto che ha sconvolto il Centro Italia, attraversa le Foreste Casentinesi, si inerpica tra l’Appennino parmense, le Alpi Liguri, le Marittime, il Parco del Gran Paradiso, e ancora più in là, sull’arco alpino fino in Trentino.
Capitolo dopo capitolo facciamo la conoscenza delle abitudini del lupo, della sua conformazione, impariamo a riconoscerne le orme lasciate sulla neve.
Ascoltiamo le parole di etologi, biologi, botanici, “lupologi”, esperti di wolf-howling (l’imitazione dell’ululato del lupo) , ambientalisti che hanno dedicato parte della loro vita alla salvaguardia del lupo.
Prendono la parola, però, anche allevatori e pastori che raccontano delle razzie perpetrate dai lupi nei confronti delle loro greggi e che farebbero volentieri a meno del ritorno in montagna del Canis lupus italico…
La Via del lupo ad un certo punto devia ed esce dai confini nazionali per introdursi nel francese Parco Nazionale del Mercantour, luogo in cui si svolge gran parte della trama del secondo libro di cui voglio parlare.
Il suo titolo è L’uomo a rovescio, l’autrice è la scrittrice transalpina Fred Vargas ed Einaudi è la casa editrice.
Sibellius e Marcus, due lupi che si sono stabiliti sulle montagne del Mercantour, nel sud della Francia, da anni sono tenuti sotto osservazione dagli studiosi. Lawrence Donald Johnstone, noto giovane studioso di grizzly canadesi, ha perso la testa per questo pugno di lupi europei e da mesi si è stabilito in un villaggio montano per fare un reportage. Ma un lupo manca dal branco e centinaia di pecore vengono sgozzate nella notte. La ferocia, come la paura, aumenta quando Susanne Rosselin, solida allevatrice, viene brutalmente uccisa come le sue pecore nella notte. Il commissario Jean-Baptiste Adambsberg dal suo appartamento di Parigi apprende la notizia dal telegiornale, ma non sono i lupi a interessarlo: piuttosto una ragazza mora che indossa stivali in piena estate. E’ Camille, sparita cinque anni prima dal letto di Adamsberg dopo due giorni d’amore. Il terrore atavico del lupo sposta la sua attenzione sulla possibile presenza di un lupo mannaro, che la popolazione identifica nel solitario Massart, che - sparito dal villaggio - viene inseguito da un’improbabile comitiva a bordo di un camion bestiame che puzza di grasso di lana. Camille insieme al Guarda, un vecchio pastore taciturno, e al giovane nero Soliman, sospinta dal suo uomo, Lawrence, insegue la belva per strade arse e bianche come vecchie cicatrici nel fianco della montagna e piccoli villaggi a nord di Nizza. Ed è qui che Adamsberg la ritroverà, immersa fino al collo in una storia che proviene da un passato di dolore e odio…
Classico giallo in stile Vargas, dove la belva feroce presente nell’animo umano trova le sue giustificazioni fatte di
dolore, privazioni, vendetta e riscatto. Una storia che porta il pacifico commissario Adamsberg fuori dalle strade di Parigi, dove conduce un’indagine solo per quell’ amore che arriva da terre sconosciute che si porta dentro come un mondo sottomarino intimo ed estraneo, di quella ragazza dalla linea del viso limpida che si rilassa componendo musica e leggendo il Catalogo dell’utilensileria professionale. Adamsberg con il suo metodo di indagine un po’ confuso, da spalatore di nuvole, trasmette al lettore i suoi stessi dubbi, lo costringe al suo ragionamento senza logica apparente, insieme a lui aspetta che il segno che è scritto nell’aria arrivi a risolvere il caso. La meticolosa descrizione di Fred Vargas e la pacatezza del commissario fanno di questo giallo una lettura più che piacevole e alla fine hai voglia di vivere ancora altri momenti al fianco di Adamsberg.
L’ultimo libro che vorrei segnalare, per una sorta di par condicio, non è dedicata al lupo ma alle pecore ed è quanto di più lontano si possa immaginare da un giallo.
Il suo titolo è Il pastore d’Islanda, il suo autore si chiama , l’editore è Iperborea che così lo presenta.
Il Natale può essere festeggiato in tanti modi, ma Benedikt ne ha uno tutto suo: ogni anno la prima domenica d’Avvento si mette in cammino per portare in salvo le pecore smarrite tra i monti, sfuggite ai raduni autunnali delle greggi.
Nessuno osa sfidare il buio e il gelo dell’inverno islandese per accompagnarlo nella rischiosa missione, o meglio nessun uomo, perché Benedikt può sempre contare sull’aiuto dei suoi due amici più fedeli: il cane Leó e il montone Roccia.
Comincia così il viaggio dell’inseparabile terzetto, la «santa trinità», come li chiamano in paese, attraverso l’immenso deserto bianco, contro la furia della tormenta che morde le membra e inghiotte i contorni del mondo, cancellando ogni certezza e ogni confine tra la terra e il cielo.
È qui che Benedikt si sente al suo posto, tra i monti dove col tempo ha sepolto i suoi sogni insieme alla paura della morte e della vita, nella solitudine che è in realtà «la condizione stessa dell’esistenza», con il compito cui non può sottrarsi e che porta avanti fiducioso, costi quel costi, in un continuo confronto con gli elementi e con se stesso, per riconquistare un senso alla dimensione umana.
Nella sua semplicità evocativa, Il ”pastore d’Islanda“ è il racconto di un’avventura che diventa parabola universale, un gioiello poetico che si interroga sui valori essenziali dell’uomo, un inno alla comunione tra tutti gli esseri viventi.
Esce per la prima volta in Italia un classico della letteratura nordica che ha fatto il giro del mondo e sembra aver ispirato Hemingway per Il vecchio e il mare, considerato in Islanda il vero canto di Natale.


 
 
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