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Cinema

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Andiamo al cinemaa cura di Fabrizio Albert

LA  VARIABILE  UMANA Italia 2013 Regia: Bruno Oliviero Soggetto: B.Oliviero, V.Cicogna              Sceneggiatura: D.Leondeff, V.Cicogna, B.Oliviero Fotografia: R.Personnaz Montaggio: C.Cristiani          Musiche: M.Stevens Interpreti: Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Alice Raffaelli, Sandra Ceccarelli, Renato Sarti, Arianna Scommegna
Reduce dalla presentazione in Piazza Grande al festival di Locarno, il primo film di finzione di Bruno Oliviero, noto documentarista, ha  suscitato molto interesse per la sua peculiarità. Sotto l’aspetto di un giallo intricato,  la cui soluzione avverrà solo alle ultime battute, si narra in realtà la storia personale e famigliare di un fallimento.L’ispettore Monaco, un bravo e dolente Silvio Orlando, si è  chiuso in se stesso da quando gli è morta la moglie tre anni prima, trascurando sia il lavoro, divenuto una routine priva di impegno e di  interesse, sia la unica figlia che svolge la sua vita autonomamente, senza nessun contatto e nessun dialogo con il padre.Mentre l’ispettore viene coinvolto suo malgrado in una indagine su di un omicidio eccellente, in cui si richiede da parte del  suo capo e del suo allievo, l’ispettore Levi, la  sua competenza ed esperienza e, soprattutto, la sua discrezione, la figlia viene portata in questura perché trovata a sparare in un campo con la pistola d’ordinanza del padre. Man mano che le due indagini procedono, si vede  che le due storie, apparentemente separate, sono strettamente intrecciate e l’ispettore scopre un mondo sconosciuto e, soprattutto, una figlia della cui vita non sapeva nulla e che lo obbligherà a fare una profonda autoanalisi ed autocritica. Pian piano ritorna la sua antica abilità di investigatore nella soluzione del caso e nel contempo riesce a ricucire il dialogo con  la figlia, anche se, purtroppo, l’epilogo sarà assai amaro. Il ritmo del film non è  certo quello serrato del giallo cui ci hanno abituato certi films recenti; il regista è stato accusato di eccessiva lentezza ed introspezione. Tuttavia l’indagine psicologica dei personaggi è ciò che gli interessa, insieme con l’analisi quasi documentaristica di una certa Milano che gira intorno alla zona dei nuovi grattacieli, assai bene fotografata in particolare in notturna,in cui droga e ragazzine trovano il loro ambiente ideale. Triste analisi di un mondo a noi purtroppo assai vicino, di cui il povero ispettore Monaco è costretto a prendere tardiva coscienza, insieme con il proprio fallimento di uomo e di padre.
LA  PRIMA  NEVE Italia 2013 Regia: Andrea Segre Sceneggiatura: A.Segre, M. Pettenello           Fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Sara Zavarisc Interpreti: Jean Christophe Folly, Matteo Marchel, Giuseppe Battiston, Anita Caprioli, Roberto Citran, Peter Mitterrutzner, Leonardo Paoli, Lorenzo Pintarell, Paolo Pierobon
Un  critico cinematografico, G.Zappoli, ricordava la battuta di Troisi che, dopo il  grande successo del primo film, voleva passare direttamente al terzo perché in genere il secondo è una delusione. Non è  questo  il caso dello splendido film di  Andrea Segre, secondo film di finzione dopo “Io sono  Li”, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti. Girato in Trentino tra il paesino di Pergine in Valsugana e la solitaria valle dei Mocheni, magistralmente fotografata nel suo splendore autunnale dal bravo Luca Bigazzi, racconta la storia di due grossi dolori, due solitudini che si incontrano, si capiscono, si legano in un affetto che pian piano diventa profondo e  importante. La prima storia è quella di Michele, un ragazzino di 11 anni che ha perso prematuramente il padre in montagna e che vive in conflitto con la madre. Spesso si rifugia dal nonno apicoltore e falegname che vive in una baita e che silenziosamente lo accudisce quando c’è bisogno e lo consiglia. La seconda è quella di Dani, profugo dal Togo in guerra e quindi dalla Libia, rimasto vedovo dopo la  traversata in barcone perché la giovane moglie è deceduta dopo il parto e lo ha lasciato solo con il suo dolore e con una bimbetta di un anno che lui non sa come accudire. Dani è  finito in un centro di accoglienza in Trentino e va a lavorare dal nonno di Michele e così le due storie si  intrecciano. Complice magico è il bosco con i suoi colori, le sue storie, le sue suggestioni, i ricordi belli e dolorosi che uniscono i due in un percorso di conoscenza reciproca e di affetto. Intorno alla vicenda principale ruotano i personaggi dello zio amabile e scanzonato, il bravo Battiston, della madre smarrita e in difficoltà, Anita Caprioli,, incapace di relazionarsi con il figlio ribelle e chiuso e in cerca anch’essa di una via d’uscita sentimentale, del nonno, umile e paziente, saggio rappresentante della cultura montanara,  che sa comprendere e affrontare i problemi senza clamore, con genuina saggezza. Una volta tanto bisogna dire che gli italiani fanno una ottima figura, con la loro accoglienza ben organizzata, priva  di razzismi e superiorità, con il loro aiuto materiale e morale, con la loro capacità di inserimento di chi si  sente escluso e abbandonato. Forse Dani deciderà di non partire per Parigi, come sognava, di restare e di assumere finalmente il ruolo di padre  per la piccola che troppo gli ricorda lo sguardo della moglie per riuscire a sopportarlo. Forse Michele riuscirà, grazie a Dani, a elaborare il lutto e a ricominciare una nuova vita e un nuovo rapporto con la madre. Forse, con la prima neve che Dani non ha mai visto,  cambierà tutto e tutto si rimetterà in moto…Uno splendido film, ben recitato e mai esagerato, con una misura nella espressione dei sentimenti che evita il facile melodramma e nel contempo commuove e coinvolge lo spettatore, partecipe di una storia attuale e vera.
GLORIA Cile-Spagna 2013 Regia: Sebastian Lelio Soggetto e sceneggiatura:Sebastian Lelio, Gonzalo Maza Fotografia:Benjamin Echazarreta Montaggio: Soledad Salfate, Sebastian Lelio          Scenografia: Marcela Uribi Interpreti:  Paulina Garcia, Sergio Hernandez, Diego Fontecilla, Fabiola Zamora, Coca Guazzini, Hugo Moraga
Un film vero e attuale, pieno di contraddizioni, vitalistico ed amaro nel contempo. Gloria è una bella signora di 58 anni, ormai separata da tempo, con figli grandi, un lavoro, la sua casa, la sua autonomia. E’ sola, ma non ha  nessuna voglia di arrendersi, è vitale, allegra, ha  bisogno di compagnia e se la cerca nelle balere e nelle feste per single, fuma, beve, si fa le canne, fa  l’amore quando e con chi vuole, quando capita l’occasione. Sembra avere superato i problemi di coppia e i relativi obblighi e fastidi, sembra…In realtà è pronta ad innamorarsi, è pronta a ricominciare una nuova relazione stabile e, appena capita l’occasione con un sessantacinquenne appena separato, ci si butta a capofitto, impegnando tutta se stessa e la sua generosità. Sembra avere nuovamente raggiunto la felicità, una possibile stabilità, tanto che si sente di presentare il fidanzato alla famiglia in un incontro che si rivela assai imbarazzante per tutti.Purtroppo però non fa i conti con la fragilità del partner, ancora legato a filo doppio alla ex moglie e alle figlie, sicuramente molto preso da lei ma altrettanto incapace di mollare tutto e di fare il gran passo,  in un andirivieni pavido e un po’ vigliacco. Ma Gloria è una donna di carattere e non accetta mezze misure; all’inizio sembra voler recuperare quanto di buono c’è nella relazione, con pazienza e tolleranza, ma poi, all’ennesima fuga del partner, affronta la situazione di petto e abbandona tutto, nonostante il dolore, la disillusione e la solitudine…La ritroviamo single in auto che canta a squarciagola “Gloria” di Umberto Tozzi, come nelle sequenze iniziali… Si ricomincia! Una bella riflessione sulla fragilità emotiva di una età che è ancora giovane per qualcuno che si sente pieno di vita e di amore, ma che deve comunque fare i conti con il passato, con le precedenti esperienze, affetti, errori, frustrazioni e, soprattutto, con l’età biologica che avanza inesorabile. Paulina Garcia, bravissima, ripresa inesorabilmente nella sua nudità  fisica ed emotiva, regge sulle sue spalle il peso dell’intero film e ha vinto per questo l’Orso d’argento al festival di Berlino.

LA   VITA  DI  ADELE Francia 2013 Regia: Abdellatif Kechiche Soggetto liberamente tratto dal libro: “Blu è un colore caldo” di Julie Maroh Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche,Ghalya Lacroix             Fotografia: Sofian El Fani Montaggio: Albertine Lastera, Camille Toubkis, Jean Marie Lengellé, Ghalya Lacroix Interpreti: Léa Seydoux, Adéle Exarchopoulos, Salim  Kechiouche, Mona Walravens, Jérémie Laheurte
Il film che ha vinto la Palma d’oro al festival di Cannes di quest’anno ha suscitato  molto scalpore per l’argomento trattato e la veridicità di alcune prolungate  scene di amore lesbico tra le protagoniste. In realtà è un bel film, in cui l’occhio del regista indaga con molta profondità la fragilità emotiva e i dubbi, sessuali ma non solo, di una età molto critica. La protagonista è una bella ragazza di 15 anni, con le angosce e i problemi della sua età. Va a scuola e deve scegliere l’orientamento futuro. Accetta di buon grado la  corte di un coetaneo cui si concede senza grande slancio, pensando di fare le cosa giusta, ma non prova grandi emozioni e lo lascia assai rapidamente perché scopre una nuova e diversa attrazione per una ragazza con i capelli tinti di blu, incontrata per caso. La cerca e la trova in un locale per gay. Qui scatta l’attrazione reciproca, scopre i suoi sentimenti veri, si sente realizzata e con lei affronta amici e parenti, cosa non facile, e cresce affettivamente. Il tempo passa e , nel contempo, affronta il nuovo lavoro di maestra elementare che l’impegna e la soddisfa. Sembra tutto finalmente a posto, anche se faticosamente; Adele fa da  modella all’amica pittrice, va a vivere con lei, ma i rapporti affettivi non sono mai definitivi. Qualche sguardo inopportuno, gelosie, litigate, pianti, ripropongono anche in versione omo i problemi di ogni relazione affettiva. Le due ragazze si lasciano e Adele va per la sua strada, con una nuova consapevolezza dolorosa e una nuova maturità. A mio parere, se si vuole trovare una critica, non sono tanto le scene erotiche fin troppo esplicite e prolungate da creare qualche imbarazzo,  quanto la eccessiva durata del film. In realtà, per certi versi appare necessaria per indagare i volti, i sentimenti, le emozioni delle due ragazze spesso riprese assai crudamente da vicino anche nei momenti emotivamente più devastanti, ma a volte sembra che una maggiore capacità di sintesi non guasterebbe , non altererebbe comunque il significato e renderebbe il film più agile. In totale, comunque, un bel film e una bella indagine su di una età di passaggio, assai fragile e piena di dubbi esistenziali.


 
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