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Buon Natale

Livello 3

A cura di Mario Villa Accettazione P.O. Rho

E’ veramente buono questo spumante. Il panettone è un po’ andato, ma si sa, non si può avere tutto. Un tempo, nemmeno tanto lontano, pensavo di sì, ero convinto che la mia professione mi permettesse di comprare ogni oggetto del desiderio. Credevo fermamente nel merito e nella carriera, e non mi rendevo assolutamente conto di essere solo una rotellina del gigantesco ingranaggio della produzione e dell’economia. Anzi, della finanza. Perché io lavoravo per uno di quegli istituti di credito che sembravano inattaccabili dalla crisi, da qualunque crisi. Andavo al lavoro con i miei abiti firmati, le mie belle cravatte di seta all’ultima moda, alla guida della mia berlina di lusso, con il telefonino sempre acceso e in viva voce, perché una chiamata di lavoro poteva arrivare in qualsiasi momento. Si sa, ci sono clienti che ti chiamano anche alle 7 del mattino per comprare o vendere azioni, appena apre la borsa, anzi, il mercato, quello azionario si intende, dove, si sa, non si compra e non si vende nulla di veramente essenziale alla vita, ma solo pezzi di carta e aria fritta, titoli nemmeno più cartacei, esistenti soltanto dentro i microcircuiti e le memorie elettroniche dei nostri sempre più potenti PC. Ma, si sa, anche le fortezze apparentemente inespugnabili possono cadere: guardate la Grande Muraglia in Cina: il Celeste Imperatore si credeva sicuro dietro quella linea difensiva così massiccia e così ben presidiata, ma non aveva fatto bene i conti con i Mongoli del grande Gengis Khan. E Beijing fu conquistata, sempre che anche allora si chiamasse così.
Accadde lo stesso con la mia banca. Tutti si rivolgevano a lei per prestiti e fideiussioni, dalle società di calcio alle TV private agli enti pubblici e chi più ce n’ha più ne metta. Ma non è che i soldi si possono fabbricare, si sa, soprattutto se molti vanno persi in investimenti azzardati. Perché, si sa, ai ricchi piace essere sempre più ricchi, così ai grandi azionisti non bastava più il guadagno che arrivava loro dall’usura legalizzata che praticavano e decisero di speculare in borsa, e persero. Perché, si sa, il rischio spesso paga, qualche volta bastona. Il fallimento dell’Argentina prima, il default greco poi e infine il crollo di quasi tutta l’economia dell’Euro,ridussero sul lastrico molti e fecero fallire realtà anche più solide della mia banca d’affari svizzera. Il risultato? Diecimiladuecentoventisette posti di lavoro persi nel giro di una settimana, decine di migliaia, forse centinaia di migliaia, di risparmiatori senza più un centesimo nei depositi e sui conti correnti, evasori fiscali ed esportatori di valuta con le cassette di sicurezza vuote.
E io? Vivevo in uno splendido appartamento sopra il lago di Lugano. Peccato che stavo ancora pagando il mutuo, che, manco a dirlo, avevo chiesto alla mia banca, perché, si sa, a noi dipendenti praticano condizioni favorevolissime. Persi tutto. Il tribunale mi sequestrò l’appartamento, che ufficialmente era di proprietà della banca, l’automobile, pure quella consegnatami dalla banca, il lavoro e i risparmi. E mi ritrovai su una strada. Non per modo di dire. Non avevo più un posto dove dormire e non avevo una stipendio per pagare un affitto o per comprarmi da mangiare. Le mie carte di credito mi vennero mangiate dai Bancomat nel tentativo disperato di recuperare del contante: l’elettronica mi aveva fregato. Non avrai avuto difficoltà a trovare un nuovo lavoro, direte voi. Illusi, rispondo io. Perché la questione era che io ero uno degli operatori che aveva operato la speculazione e quindi, in certa misura, per la legge, che, si sa, non sempre è agganciata alla realtà, ero corresponsabile del fallimento dell’istituto creditizio. Così, quelle stesse persone che prima lodavano il mio operato, quando mi incontravano per lavoro, ora mi sbattevano le porte in faccia quando chiedevo loro un lavoro, confidando nel mio curriculum e nella mia esperienza. Sono tutti pronti a saltar giù dal carro del vincitore, quando questi viene sconfitto, si sa. Non posso nemmeno aprire un’attività in proprio, perché il tribunale mi ha proibito qualsiasi attività libero professionale, fosse anche guidare un taxi. E, si sa, quelli come me non sono capaci di svolgere nessuna attività manuale. Così dormo dai francescani e mangio alla mensa della della Caritas. Ho venduto smart phone, tablet e notebook. Ho anche venduto due terzi dei miei pregiati vestiti. Non fumo più, non bevo più alcolici. Niente più caviale e champagne, si sa, sono prodotti da ricchi
della metro adesso è un lusso per me, altro che Mercedes e BMW.
E ho scoperto che esiste un altro mondo, così diverso da quello nel quale vivevo prima. Un mondo che io, dalla mia torre d’avorio, avevo sempre disprezzato e condannato. Il mondo nel quale vivo ora, fatto di marciapiedi e panchine, sacchi a pelo e cartone, perché non sempre trovi posto nel dormitorio dei poveri, una valigia come armadio e le tue tasche come cassaforte.
Eppure, anche qui, le persone litigano per le cose, rivendicano la proprietà esclusiva dei posti, quelli più belli, comodi e caldi per dormire. E intorno a questo mondo girano sfruttatori di ogni tipo, da quelli che tentano di rubarti i quattro soldi che hai racimolato con la carità a loschi personaggi in cerca di organi da trapiantare. Nemmeno tra i barboni c’è solidarietà, ognuno tenta di sfruttare l’altro. Homo homini lupus, Hobbes aveva proprio ragione. Ogni uomo è un lupo per l’altro uomo. Io mi sono rifiutato di entrare in questa logica, almeno ora che vivo sulla strada.
Però ho trovato anche persone che spendono qualche ora della loro vita per aiutare gli altri, per dare loro un pasto caldo e un posto dove dormire. E persone, come i francescani, che dedicano tutta la loro esistenza agli altri. Anche a Natale non tornano a vivere la festa nelle loro famiglie, ma festeggiano servendo gli altri, i poveri e i bisognosi, che spesso non sono nemmeno grati di questo. Perché? Cosa spinge queste persone a vivere così, sempre tesi verso gli altri? Mi aiutano, ma non capisco il motivo. Chi sono io per loro? Non mi conoscevano fino a quando ho bussato la prima volta alla loro porta. Perché mi aiutano?
Forse dipende da quel bambino nella mangiatoia? Anche lui, se è davvero Dio, perché non se ne è stato tranquillo su nel suo paradiso ed è venuto a sporcarsi in questo mondo di merda? Chi gli ha fatto lasciare il suo tranquillo tran tran per venire a vivere nella Palestina impolverata, rifiutato dalla sua stessa gente? Non capisco… E poi morire, già questo è incomprensibile, morire in croce poi… perché, si sa, è una tra le morti più atroci e vergognose. E la sua nascita? Un normalissimo parto, sporco di sangue e muco placentale, con quell’aria che improvvisamente entra a bruciarti i polmoni e tutti i deficienti attorno che dicono: Ha pianto! solo perché non si ricordano che effetto ha fatto loro il primo respiro fuori da quel paradiso terrestre che è il liquido amniotico della mamma. Perché un Dio dovrebbe incarnarsi così e non come facevano gli dei indù o greci? E poi, nascere in una stalla, si sa, non è il massimo per la salute del neonato e della mamma: quante infezioni si possono contrarre? Anche pensando che quella stalla era probabilmente una grotta, usata dai pastori per passare le fredde notti di Giuda. I pastori, delinquenti fatti e finiti, che dove arrivavano se potevano rubavano, se nessuno li custodiva. Un re, anzi, il re dell’universo, che come adoratori ha dei pastori e degli angeli: perché poi degli angeli dovrebbero mischiarsi con quei ceffi da galera dei pastori, non lo capisco proprio.
Comunque sia, meno male che questo bambino è nato, quasi duemilacento anni fa, altrimenti non avrei trovato questi frati e questi volontari che mi danno da dormire e da mangiare. Non posso che dire loro grazie, anche se non capisco.
Qualcuno dei miei compagni mi ha detto che lo fanno per amore del prossimo, ma io non ero prossimo loro, non ero vicino a loro. Almeno fino a quando non ho bussato alla loro porta. E poi cos’è l’amore? Dai, non crederete ancora al sentimento e alla sua origine divina. Si sa, è tutta una questione di ormoni e di chimica cerebrale, unita a scariche elettriche. O no?
Questi uomini mi hanno fatto venire qualche dubbio in proposito e un tarlo mi sta rodendo il cervello da un po’ di tempo. Spero che stanotte mi facciano dormire, perché odio non dormire la notte – e stanotte, per fortuna, sarà su un letto in una stanza calda e non su un marciapiede o in una stazione della metro.
Basta, sono stanco.
Auguri di buon Natale a tutti.
Qualunque cosa questo augurio voglia dire per voi.


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