Problemi oculistici " Totò" - Nuovo Progetto

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Problemi oculistici " Totò"

A cura di Giorgio De Santi Oculistica P.O. Rho
Il grande Toto’ nella sua vita ha avuto gravi problemi visivi. Da ragazzo perse l’occhio sinistro per un distacco retinico operato senza successo. La cecità lo colse all’improvviso nella primavera del 1957, durante la tournée di "A prescindere" che aveva segnato il suo ritorno al teatro dopo un'assenza di sette anni. Nel febbraio di quell'anno, quando la rivista andava a gonfie vele al Nuovo di Milano, fu colpito da una broncopolmonite virale curata in fretta e furia con dosi massicce di antibiotici e una degenza di soli quattro giorni in un appartamento dell' Hotel Continental. Remigio Paone, che era il suo impresario preferito, si aggirava nella hall , supplicando i medici di accelerare i tempi di rientro sulle scene del Principe, considerato il fatto che Il teatro era sold out per almeno due settimane ed altre tappe attendevano la compagnia in tutta Italia. Per Totò quella broncopolmonite fu molto debilitante, ma sottoposto a mille pressioni decise di riprendere il lavoro. Pensava alla gente della compagnia, a stagione avanzata tutte quelle persone , come avrebbero fatto senza lavoro e senza paga? non se la sentiva di infliggere loro quel colpo a tradimento, sospendendo le recite e di fatto sciogliendo la compagnia. E così, terminata la piazza di Milano , partì per una serie di debutti in provincia : Biella, Bergamo, San Remo. Fu qui ché avvertì le avvisaglie di quanto stava per accadergli. Festeggiava in un ristorante , dopo lo spettacolo, il matrimonio di due ballerini di "A prescindere”, guardandosi attorno per il locale disse al capo comico: "Strano, vedo ballare le pareti e i tavoli, oscillano come se fossi sbronzo fradicio, eppure non ho bevuto niente". All'uscita, lo stesso fenomeno gli si ripeté con i palazzi. Il giorno dopo si recò da un oculista che attribuì la manifestazione agli antibiotici e alla debolezza, e prescrisse un ricostituente e delle vitamine. Anziché diminuire, il fastidio si accentuò. A Firenze, dove il teatro crollava per la calca e ogni sera il pubblico ritrovava un Totò parossistico e disarticolato, diceva che quel disturbo gli dava un senso di maretta e pregava la compagna di leggergli i quotidiani poiché le righe gli si accavallavano. Il dramma si stava avvicinando. Antonio de Curtis divenne cieco in scena, la sera del 4 maggio 1957, sulle tavole del Politeama a Palermo, vestito da Napoleone. Cominciò a battere le palpebre come per togliersi un corpo estraneo dagli occhi e si voltò per un attimo, le spalle al pubblico guardandosi attorno con le pupille sbarrate. Nessuno se ne accorse in sala. Accelerando i tempi, tagliando battute, con una vitalità senza pari , fece delirare il pubblico e, tra le ovazioni di un teatro impazzito, si avviò ad intuito verso le quinte. Da quel momento e per oltre un anno fu notte piena. In quel periodo Totò ricevette numerose manifestazioni di affetto da parte del suo pubblico. Diverse persone si offrirono, pensando nella loro ingenuità di risolvere il problema, di donare a Totò il loro occhio per permettergli di riprendere la vista. Tra queste Antonio Sorrentino un detenuto del carcere di Catania che si offrì per questo sacrificio. Anche se cieco, la sua forza di volontà di grande attore gli permise di superare la gravissima, improvvisa menomazione senza abbandonare la scena e dopo un periodo di isolamento in casa, di tornare a recitare davanti alla macchina da presa. A partire da "Totò, Peppino e le fanatiche, del 1958, che è il primo film girato dopo la cecità, Totò recitò fino al 1967 in altri 48 film, ossia la metà esatta dell'intero corpus dei suoi 97 film.» Inizialmente i medici pensarono che fosse un problema derivato dai denti. Fu il Professor Giambattista Bietti ad emettere la diagnosi giusta. Si trattava di una corio retinite emorragica essudativa di carattere virale, probabilmente conseguenza della broncopolmonite virale trascurata. Il danno già subito era irreversibile, per evitare di aggravarlo ulteriormente ed arginarlo, oltre al buio e all'immobilità, erano indispensabili antibiotici, antiemorragici, colliri e controlli. Totò perse completamente la vista nella parte centrale dell'occhio destro (vedeva soltanto sui lati degli occhi, come un vetro appannato), si ritrovò di fatto quasi cieco. Eduardo Clemente, suo cugino e stretto collaboratore, con una genialità tutta napoletana, aveva costruito in casa, per dargli la possibilità di controllarlo più spesso, un rudimentale apparecchio per il campo visivo. E così su questo venivano seguiti , dietro il puntino luminoso manovrato dall'oculista e i suoi 'vedo, vedo, no, adesso no, non vedo, no, no, no, adesso si, ora vedo di nuovo ', i suoi impercettibili progressi." Dai certificati medici dei colleghi oculisti , tra questi il Prof. Lo Cascio di Napoli si capisce a quali pressioni veniva di continuo sottoposto Totò per continuare, nonostante la menomazione, a girare film, doppiarli, girare filmati pubblicitari, partecipare a serate. Vi sono dei certificati dell’oculista Tullio de Michele di Roma che veniva chiamato dalla produzione sul set dei film girati da Totò, per dichiarare giorno per giorno quante ore potesse lavorare il Principe, senza rischiare di aggravare le sue condizioni. Per fortuna la vista lentamente un poco riprese, in quanto l’emorragia retinica si ridusse. Il visus massimo raggiunto dall’occhio fu di 2/10 con correzione. Sono passati 50 anni da allora, leggere i referti, le terapie di allora, gli esami clinici a cui venne sottoposto Totò fanno pensare ai grandi progressi avvenuti anche in campo oculistico. Era l’Italia della fine degli anni 50, un Paese da poco uscito dalla guerra, con tanta voglia di crescere , di evolversi, di maturare. Totò continuò a lavorare senza risparmiare le proprie energie fino all’aprile del 1967. I suo ultimo film fu Capriccio all’italiana, film ad episodi ( o meglio ad esipodi come avrebbe detto lui).
Bibliografia : dal libro Totò, l'uomo e la maschera - F.Faldini e G. Fofi - Feltrinelli

 
 
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