Arboreto Selvatico - WEBDICEMBRE

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a cura di Claudio Ciprandi PS Rho
“L’arboreto, dicono i dizionari, è una raccolta di alberi che vengono osservati e studiati dal punto di vista botanico, forestale, agricolo, ecologico, estetico eccetera, per poi trarne giovamento pratico.
Ma io non avevo, non ho, tutte queste pretese, il mio è un interesse quasi esclusivamente estetico-sentimentale.
Il sostantivo “arboreto” deriva dal tardo latino arboretum e la mia raccolta è un po’ un arboreto.
Ma “salvatico”?
L’aggettivo era usato nel Rinascimento per selvatico: due parole che messe insieme mi piacciono, anche se in contraddizione tra loro: selvatico è non coltivato, non domestico, ricoperto da selve, anche rozzo; ma c’è la vocale a al posto di una e, così tutto cambia: un salvatico che diventa salvifico, che conduce alla salvezza.”
Con queste parole Mario Rigoni Stern introduceva la riedizione, nel 1996, di un suo libro pubblicato la prima volta, dalla casa editrice Einaudi, qualche anno prima e dal titolo enigmatico di “Arboreto Salvatico”.
Un piccolo libro (le pagine raggiungono a malapena il numero di cento) ma che, come spesso succede con gli scrittori veramente capaci di fare il loro mestiere, racchiude una lezione immensa.
Attraverso la descrizione, un po’ scientifica ed un po’ letteraria, di venti alberi, quelli a lui più cari, alcuni dei quali piantati personalmente in anni lontani, Mario Rigoni Stern riesce a “raccontarceli”; di ognuno ci dà le caratteristiche botaniche e ambientali, ce ne illustra la storia e le ricchezze, ci spiega gli influssi che hanno avuto nella cultura popolare e nella letteratura.
Uomo di montagna, nato ad Asiago nel 1921, su quell’altipiano così drammaticamente segnato dagli eventi bellici della Prima Guerra Mondiale e poi soldato al fronte durante la Seconda, coinvolto nella drammatica esperienza della Campagna di Russia, in quella ritirata tragica che ha saputo magistralmente raccontare nel suo capolavoro “Sergente nella neve”, nell’introdurci nella storia di questi alberi non può evitare di inserire le proprie esperienze, i propri ricordi, la nostalgia di “quando gli uomini vivevano con la natura”.
Prendendoci per mano, come ogni nonno farebbe con il proprio nipote, Mario Rigoni Stern ci accompagna nell’arboreto e ci permette di incontrare il Larice (albero cosmico lungo il quale scendono il sole e la luna), l’Abete (albero della nascita e a lui era dedicato il primo giorno dell’anno), il Pino (il cirmolo, tra gli alberi delle nostre Alpi, è con il larice il più bello), la Sequoia (a ricordo dei compagni che sono morti su queste montagne), il Faggio (si costruisce e si conserva la foresta), il Tiglio (albero della giustizia perché attorno ad esso si riunivano i saggi), il Tasso (...Talee di tasso / colte mentre la luna è in eclisse… Shakespeare), il Frassino (…il cervo lo morde in alto / ai lati marcisce / lo addenta Nidhoggr in basso… Snorri Sturluson), la Betulla (...o seno di fanciulla, / verde capigliatura. S. Esenin), il Sorbo (teneva lontano i fulmini, gli spiriti malefici e le streghe), il Castagno ( sogno dei nostri soldati affamati di cibo e di casa), la Quercia (persino i soldati di Cesare, in Gallia, avevano timore di affrontarne il taglio), l’Ulivo (il letto che Odisseo stesso si era costruito), il Salice (...Ai salici, in mezzo ad essa / appendemmo le nostre cetre. Salmo 136), il Noce (Ti ricordi quelle sere / sotto l’albero di noce / mi dicevi a bassa voce… Canto popolare), il Pioppo (Quando le bianche farfalle uscivano dalla crisalide), il Melo (Distillando il sidro si ottiene una profumata acquavite), l’Acero (il suo legno è tra i più belli e pregiati), il Gelso (Gli alpini del Garda mi dissero che erano morari), il Ciliegio (al suo posto costruiranno un condominio per villeggianti).
Finale amaro e pessimistico?
No se si scorre anche brevemente la biografia di quest’uomo straordinario, il suo impegno civile per difendere dalla cementificazione le terre dell’Altipiano dei Sette Comuni.
Nel 1988, la Facoltà di Scienze forestali ed ambientali dell’Università di Padova gli conferì la laurea honoris causa e in quell’occasione tenne una lectio magistralis da cui possiamo estrapolare queste parole:
“Ero ragazzo quando spalancai gli occhi sulla natura. Allora, sulla nostra terra dell’Altipiano, era da poco passata la Grande Guerra; le case dei paesi e delle contrade erano macerie di macerie. I prati, i pascoli, i seminativi erano intersecati da centinaia di chilometri di trincee e camminamenti, coperti da grovigli di reticolati, sconvolti da milioni di buche di granate, avvelenati dal gas. I boschi, i nostri boschi di proprietà collettiva che coprivano una superficie di quasi ventimila ettari, e dei quali andavamo orgogliosi per le loro bellezza e per la ricchezza che sapevano dare, erano stati completamente distrutti sul 35 per cento del soprassuolo; il 50 per cento era stato seriamente danneggiato e solo il rimanente 15 per cento era rimasto come si trovava all’inizio del 1915”
Il racconto di Rigoni Stern passa poi alla descrizione dei tentativi, più o meno riusciti, di rimboschimento di quei luoghi e che si sono susseguiti dagli anni venti fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Parla delle malattie che hanno colpito gli alberi superstiti, dei danni compiuti dai ghiri e dalla lotta epica per cacciarli e arriva a descrivere quelli che per lui erano i nuovi pericoli per i boschi:
Il paesaggio stesso delle foreste alpine sta cambiando: l’abbandono delle coltivazioni e l’urbanizzazione malgestita sono sotto gli occhi di tutti.
Per ogni presenza umana nell’ambiente di montagna che non sia per lavoro, studio o sorveglianza, bisognerebbe fermare gli automezzi dove arrivano i servizi pubblici. Poi tutti a piedi: chi ha passione vera camminerà, gli altri si fermeranno al bordo del bosco, che è sì il bene di tutti ma non da tutti.
Il bosco. Cattedrale del creato: le luci che filtrano dall’alto, i fruscii, i suoni, gli odori, i colori sono mezzi per far diventare preghiera le tue sensazioni da offrire senza parole a un dio che non si sa. Forse da qui sono nati per la prima volta nell’uomo l’idea, il pensiero, la riflessione.
L’intero testo della lectio magistralis è possibile leggerlo in appendice al  libro che è considerato il testamento letterario di Mario Rigoni Stern: Le vite dell’Altipiano, racconti di uomini, boschi e animali, pubblicato sempre da Einaudi nel 2008, l’anno della sua morte.
Forse consapevole che la sua vita stava volgendo al termine ha voluto raccogliere i migliori racconti pubblicati in tanti anni di scrittura e in tanti libri.
I racconti che formano questa raccolta sono suddivisi in tre grossi capitoli: Storie naturali, Storie di animali e Storie dell’Altipiano, possiamo trovare brani tratti da Sentieri sotto la neve, Uomini, boschi e api, Tra due guerre e altre storie, Arboreto salvatico, Amore di confine.
Tutti libri preziosi che andrebbero letti e riletti o magari regalati per le prossime festività.
Il prossimo anno il nostro CRAL ha scelto come argomento sul quale impegnarsi il  rapporto con l’ambiente che ci circonda, tante saranno le iniziative che verranno organizzate e, posso dirlo con certezza, un compagno di viaggio come Mario Rigoni Stern potrebbe davvero darci una grossa mano.

 
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