La storia presa a pugni - Nuovo Progetto

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A cura di Claudio Ciprandi P.O Rho
Sullo scorso numero del nostro Giornalino, anticipando le iniziative che come gruppo culturale del CRAL degli Operatori Sociosanitari del Rhodense abbiamo intenzione di sviluppare nel corso dell’anno corrente, invitavamo i nostri soci, appassionati di fotografia, ad inviarci le loro immagini per costruire una mostra.
Con grande e notevole sorpresa, sono già numerose le immagini che sono arrivate al nostro indirizzo e-mail e ne stiamo attendendo altre che ci sono già state promesse.
Un po’ a loro e alla loro passione è dedicato il primo consiglio di lettura, ma sarebbe più giusto parlare di “visione”, che mi permetto di dare.
“War is over” (la guerra è finita) è il titolo di una bellissima mostra che si potrà visitare, fino al prossimo 10 aprile, negli spazi di “Forma Meravigli” in via Meravigli, 5 a Milano.
Il sottotitolo della mostra, L’Italia della Liberazione nelle immagini dei U.S. Signal Corps e dell’Istituto Luce, 1943-1946, ci dà l’immediata percezione del tipo di immagini che andremo a vedere nel percorso espositivo ma, come è giusto che sia, per presentarla al meglio leggiamo come viene presentata la mostra da chi ne ha curato la realizzazione.
La mostra propone un confronto tra due diversi sguardi che raccontano la Liberazione in Italia: quello delle fotografie a colori dei Signal Corps dell’esercito americano e quello delle immagini in bianco e nero dei fotografi dell’Istituto Luce, molte delle quali inedite o precedentemente censurate.
A Forma Meravigli sono esposte circa 140 immagini, anche inedite, e filmati d’epoca – compresi nel periodo tra il luglio del 1943 (lo sbarco degli alleati in Sicilia) e il 1946 – che propongono la narrazione della guerra attraverso i suoi protagonisti, italiani e americani, e il confronto tra due differenti punti di vista.
La Liberazione dell’Italia durò due anni, dallo sbarco degli angloamericani in Sicilia nel luglio 1943 alla resa dei nazifascisti nell’aprile 1945. Questo processo lungo e doloroso fu messo straordinariamente in scena dai due opposti sguardi fotografici dei fotografi dell’Istituto Luce e dei Signal Corps dell’esercito americano. Sguardi che restituiscono due Italie e due diverse guerre e si osservano reciprocamente e che oggi sono messi a confronto e presentati per la prima volta al pubblico di Milano (dopo il successo della prima tappa della mostra a Roma a Palazzo Braschi).
L’allestimento di Forma Meravigli propone per la prima volta anche alcune fotografie che vedono come protagonista la città di Milano. Nelle foto dei Signal Corps (l’efficiente servizio di comunicazioni al seguito delle truppe statunitensi) provenienti da un raro repertorio, conservato presso la Nara (National Archives and Records Administration) di Washington, il colore diventa il segno di un’Italia diversa, rivelata da operatori e fotografi più attenti al dato sociale e uno strumento di esportazione dell’American way of life che, con la ricostruzione, raggiunge anche l’Italia.
Fanno da controcanto gli scatti dell’Istituto Luce, l’organo ufficiale di documentazione fotocinematografica del regime, dove il bianco e nero è espressione prima del cupo declino del fascismo e poi della sobrietà di una classe dirigente che cerca di costruire sulle rovine della guerra. Tra queste, la mostra propone molte immagini del fondo Reparto Guerra Riservati in cui erano conservati i negativi bloccati dalla censura
Il percorso espositivo si snoda attraverso 10 sezioni tematiche, in cui le due serie di immagini sono affiancate in un dialogo immediato.
Nella prima sezione, Due diversi sguardi, viene proposto un confronto tra le fotografie degli operatori Luce e quelle dei Signal Corps, mentre nella seconda, La guerra non è come un film, si alternano episodi bellici e ritratti di soldati come, tra le altre immagini censurate, quella dei travestimenti da pecora dei combattenti.
Vincitori e vinti sono illustrati nella terza sezione: per esempio, ad un Mussolini stanco e logorato si contrappone il tavolo delle potenze vincitrici alla Conferenza di Potsdam o il ringraziamento (oltre le regole protocollo) di Papa Pio XII, circondato dalle truppe alleate.
La quarta sezione racconta poi il Bel Paese: in queste immagini l’obiettivo è fissato su edifici distrutti dai bombardamenti e cittadini smarriti tra le rovine. Nei Volti di guerra della quinta sezione scorre una sequenza di momenti di vita civile e militare, tra episodi di guerra e soccorsi ai feriti. Il dolore domina invece le immagini della sesta sezione, tra bombardamenti sulle popolazioni civili e la durezza dei combattimenti mentre in Amore e guerra, la settima sezione, si intravedono primi casti baci ed effusioni timidamente romantiche.
Sono poi all’insegna del relax gli scatti esposti nell’ottava sezione, Consolazioni e divertimenti, che mettono a fuoco il desiderio di svagarsi, nonostante il pericolo e l’infuriare della guerra. Interrogatori, tribunali e processi si alternano nella nona sezione, La resa dei conti, per arrivare alla conclusione del percorso, Rinascere. Attraverso le immagini di questa decima sezione si racconta, dopo i festeggiamenti per la fine del conflitto, il difficile e contrastato inizio del dopoguerra.
A corredo della mostra tre postazioni video mostrano il coinvolgimento di grandi registi di Hollywood nella guerra mondiale e la gioia e lo stordimento degli innumerevoli momenti della Liberazione italiana, con un particolare sguardo sui video e cinegiornali girati a Milano durante la guerra. La regia dei video è di Roland Sejko.
Il racconto dell’Italia che esce da questo duplice sguardo è tragico e glorioso, conosce i toni del coraggio e della sconfitta, della paura e della gioia, della cupa violenza e di una sconfinata voglia di vivere: di un Paese che si accingeva a percorrere i migliori anni del dopoguerra, con la conquista della democrazia, un grande cinema, la ricostruzione, la ricerca del benessere.

Davvero ben riuscita ed intelligente l’idea di mettere a confronto due punti di vista ben distinti e contrapposti, quelli che la Storia decretò come quello dei vincitori e dei vinti, spettacolare la scelta di utilizzare le foto in bianco e nero contrapponendole a quelle a colori, anche se alla fine si ha quasi l’impressione di assistere ad un incontro di pugilato dove fin dalla prima ripresa si ha la netta percezione di chi sarà il futuro campione e dove non sono nemmeno pensabili possibili colpi di scena.

Il rimando ad un ipotetico incontro di boxe non è casuale perché è proprio l’angusto spazio del ring, l’incrociarsi di pugni protetti da guantoni, la volontà di rimanere in piedi un minuto in più dell’avversario, il tentativo di farlo crollare al tappeto, lo scenario in cui sono ambientati i primi due libri di cui voglio parlare.
Non sappiamo se per uno scherzo del destino o se per un accurato gioco di squadra dei due editori, ma sta di fatto che nell’arco dello stesso mese di gennaio sono usciti due libri che affrontano, anche se con un taglio completamente diverso tra loro, lo stesso argomento, raccontando entrambi la vita di Johan “Rukeli” Trollmann.
Già, ma chi è quest’uomo?

Lui è Johann Trollmann (1907-1943), pugile sinti nella Germania nazista, il più bravo di tutti, ma c'è un particolare: è uno zingaro.
La vita di Johann comincia subito di corsa, da quando, bambino, scopre la boxe e sale sul ring portando con sé i valori e la tradizione della sua gente, e guadagnando strepitose vittorie, una più emozionante dell'altra, con il pubblico (soprattutto femminile) in visibilio.
Ma uno zingaro non è come gli altri tedeschi: come può rappresentare la grande Germania alle Olimpiadi del 1928?
Le strade del successo ben presto gli vengono sbarrate, il clima politico peggiora, il nazismo travolge tutto, anche la sua vita e quella della sua famiglia.
Non importa che Johann sia il più bravo, il titolo di campione dei pesi mediomassimi gli verrà negato, nonostante la vittoria sul ring.
Da quel momento la sua vita diventa impossibile: prima il divorzio cui è costretto per salvare la moglie e la figlia, poi la sterilizzazione, la guerra cui partecipa come soldato e infine il campo di concentramento e l'ultima sfida, quella decisiva, contro il kapò, che vincerà, e per questo sarà punito.
Con la morte.
Questa è la presentazione del libro “Razza di zingaro”, edizioni Chiarelettere che ha scritto Dario Fo, premio Nobel per la letteratura, e che, grazie a una ricerca di Paolo Cagna Ninchi, ancora una volta recupera una vicenda vera e dimenticata.
Solo di recente la Germania ha riconosciuto il valore e l'autenticità di questa storia consegnando alla famiglia Trollmann la corona di campione dei pesi mediomassimi negata a Johann ottant'anni prima.
Il secondo libro dedicato a Johan “Rukeli” Trollman è stato scritto dall’esordiente Mauro Garofalo, giornalista e pugile dilettante,, il suo titolo è “Alla fine di ogni cosa” e l’editore Frassinelli lo presenta in questo modo: Ogni giorno vissuto come se fosse l'ultimo.
Ogni incontro, ogni parola pronunciata, l'ultima occasione.
"La prima volta che ho sentito il nome di Johann Rukeli Trollmann avevo appena finito di allenarmi al sacco. Con le mani ancora fasciate e i guantoni, appresi la vicenda del pugile a cui il Nazismo aveva tolto il titolo di campione perché "zingaro".
Per tutta risposta, la volta dopo Trollmann era salito sul ring con il corpo cosparso di farina, i capelli tinti di giallo, si era lasciato battere.
Quell'uomo aveva messo in scena la sconfitta dello stesso fanatismo ariano che ora lo crocifiggeva; aveva avuto il coraggio di guardare dritto in faccia il grande male del Novecento.
Mi resi conto che quella non era una storia qualsiasi, era una sfida.
E dovevo seguirla."
Se ci fermassimo alle apparenze, facendo nostra la metafora dell’incontro di boxe, non potremmo che arrivare alla conclusione che, anche in questo caso non c’è storia!
In un angolo il Premio Nobel, l’affermato attore e scrittore e dall’altro, l’esordiente, l’appassionato pugile dilettante senza nessuna esperienza.
Se ci fosse la possibilità di scommettere, non avremmo dubbi su chi puntare…
E invece no! Dal mio modesto punto di vista l’incontro finisce alla pari, senza vincitori ne vinti, la passione del dilettante, al suo primo incontro, non sfigura affatto di fronte all’esperienza ed al rigore tecnico del grande campione e la ragione forse sta proprio nell’approccio che entrambi hanno utilizzato per avvicinarsi alla storia incredibile, tragica e bellissima di Trollmann.
Aggiungendo metafora per metafora, mi piace pensare che questo incontro (e non scontro) sia stato combattuto sul monumento che la Città di Berlino, nel distretto di Kreuzberg, all’interno del Parco Viktoria, ha voluto dedicare al “pugile zingaro”.
Un ring, inclinato su di un lato, a significare l’inevitabile discesa verso la tragica fine a cui il nazismo ha condannato questo campione.
Un ring che costringerebbe i nostri scrittori a trovarsi nello stesso angolo, pronti ad unire la forza dei propri pugni contro la discriminazione, contro il fanatismo, contro il razzismo, nemici contro i quali vale la pena oggi, come ottant’anni fa, combattere senza risparmiare colpi!

 
 
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