Andiamo al Cinema - Nuovo Progetto

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a cura di Albert Fabrizio
REMEMBER Canada, Germania 2015
Regia: Atom Egoyan. Sceneggiatura: Benjamin August. Fotografia: Manfredi Marco. Musiche: Mychael Danna. Interpreti: Christopher Plummer, Bruno Ganz, Martin Landau, Jurgen Prochnow, Heinz Lieven, Dean Norris, Henry Czerny.
Confesso che ero molto recalcitrante all’idea di andare a vedere un ennesimo film angosciante su Auschwitz e i campi di concentramento. In realtà il film è uno splendido thriller che, prendendo lo spunto da quella terribile realtà, si occupa della memoria, della sua fragilità, della sua perdita, del suo drammatico recupero. E per farlo utilizza proprio un personaggio che, per definizione, non dovrebbe avere più memoria… Ci troviamo in una casa di riposo per anziani dove Zev, un anziano ebreo affetto da demenza senile, ha appena perso la moglie Ruth. Insieme a lui è ricoverato il vecchio amico Max, unico reduce con lui da un campo di sterminio, in sedia a rotelle e con una grave insufficienza respiratoria che lo costringe ad una forte limitazione dell’azione. Zev e Max hanno perso le loro famiglie, sterminate ad Auschwitz e si erano ripromessi di rintracciare e punire il loro aguzzino. Secondo le loro ricerche, infatti, questo signore si nascondeva sotto falso nome negli Stati Uniti, dove era fuggito dopo la guerra. Il problema è che sotto quel nome risultano quattro persone, di cui uno solo è il colpevole. Dopo tanti anni va riconosciuto, scoperto e ucciso, secondo i loro piani, ma l’unico che può farlo è il povero Zev, libero di muoversi, ma con terribili problemi di memoria. Così Max ricorda a Zev la loro decisione e la loro promessa e Zev parte, confuso, insicuro, tremebondo, ma deciso a portare a compimento il piano. L’unica sicurezza per Zev è seguire alla lettera un foglio di istruzioni che Max gli ha dato e che prevede, tappa per tappa, la scoperta del criminale nazista. L’interesse del film, naturalmente, è tutto nel viaggio, nelle difficoltà del povero Zev a svolgere i suoi compiti, anche i più semplici, nello smarrimento continuo di identità, memoria, obbiettivi e nel successivo recupero della volontà di arrivare alla conclusione della sua missione. L’incontro con i personaggi, vecchi tedeschi emigrati con identico nome, ma con storie differenti e drammatiche, porta a continui disvelamenti e colpi di scena, ma è solo all’ultimo che avviene l’incontro con il vero colpevole. Intanto però Zev, fuggito dalla casa di riposo, lascia una serie di tracce del suo percorso e il figlio che lo cerca disperatamente alla fine lo raggiunge e assiste alla rivelazione finale. Non riveleremo certamente lo straordinario colpo di scena finale, ma il vecchio Max, l’amico di Zev, sapeva e aveva previsto tutto… Con Christopher Plummer nella parte di Zev, bravissimo a rendere evidenti i tremori, le esitazioni, i dubbi terribili, le difficoltà di un anziano smemorato e nel contempo deciso a ricordare e ad agire, si resta inchiodati alla sedia per due ore, senza un attimo di noia. Un bel film.

VULCANO/IXCANUL Francia, Guatemala 2015
Regia: Jayro Bustamante. Sceneggiatura: J.Bustamante. Fotografia: Luis Armando Arteaga. Musiche: Pascual Reyes. Interpreti: Maria Mercedes Coroy, Maria Telon, Manuel Antùn.
Ancora un film sulla condizione della donna, bello e drammatico. La storia si svolge in Guatemala, in una piantagione di caffè, ai piedi di un vulcano nero e imponente, divinizzato dalla religione animista dei Maya. E’ stato girato in lingua maya che il regista, Jayro Bustamante, al suo primo lungometraggio, conosce per avere vissuto in quei luoghi da bambino. E’ un film con un forte taglio documentaristico, nel contempo di informazione sulla vita della popolazione Maya e di denuncia di una pratica purtroppo ancora assai diffusa in America Latina, che non riveleremo per non guastare il finale. E’ la storia in prima persona di Maria che vive e lavora in una piantagione di caffè, alle falde del vulcano, e della sua famiglia, semplice, saggia e onesta. Maria ha 17 anni e un sogno, quello di andarsene via da lì e di andare in America, ma è stata promessa in sposa ad Ignacio, maturo fattore trafficone, rimasto vedovo con una serie di figli e bisognoso di aiuto. Questo risolverebbe i problemi economici della famiglia, ma Maria non ci sta. Conosce Pepe, un ragazzotto con scarsa voglia di lavorare, intenzionato ad andarsene dal paese e si fa mettere incinta, con la promessa di farsi portare in America con lui. Ma Pepe scappa e la abbandona sola e impotente. E’ bellissimo il rapporto di Maria con la madre e il padre, persone semplici e comprensive, che cercano comunque di aiutarla, dapprima tentando in tutti i modi di farla abortire, ma poi, quando il bambino sembra resistere a tutto e voler vivere a tutti i costi, aiutandola a portare avanti la gravidanza fino alla fine, con tutta la partecipazione e l’affetto necessari, cercando comunque di salvare il rapporto con Ignacio, il promesso sposo. Il film ci racconta in modo mirabile le abitudini, le credenze, i riti di questa popolazione ancora oggi culturalmente isolata, con enormi difficoltà di comunicazione con il mondo esterno per via della lingua, con una religione primitiva contaminata da un cattolicesimo introdotto dai “conquistadores” e assorbito in un miscuglio unico di magie e superstizioni. Sarà il morso di un serpente ( segno del destino?) a portare Maria a contatto con la civiltà e con l’ospedale che la salverà, ma le imporrà una terribile ferita…Tutto alla fine si ricompone, secondo i disegni e le manovre di un destino crudele che passa sempre sopra le teste di questi poveretti, sconfitti e rassegnati. Un film molto bello, vincitore dell’Orso d’argento a Berlino, intenso e coinvolgente, girato in posti selvaggi da un regista evidentemente molto partecipe e informato e soprattutto desideroso di far conoscere al mondo ignaro una realtà drammatica e attuale.

IL PONTE DELLE SPIE USA 2015
Regia: Steven Spielberg . Sceneggiatura: Matt Charman, Ethan e Joel Coen. Fotografia: Janusz Kaminski. Scenografia: Adam Stockhausen Musiche: Thomas Newman. Interpreti: Tom Hanks, Mark Rylance, Billy. Magnussen, Alan Alda, Austin Sowell, Amy Ryan, Domenick Lombardozzi.
Il film si ispira ad una storia vera, avvenuta in piena guerra fredda alla fine degli anni ’50, che ha portato il mondo assai vicino ad una vera terza guerra mondiale fra i due blocchi di paesi guidati da USA e URSS. L’esordio, assai movimentato, ci mostra l’arresto a New York di Rudolf Abel ( lo straordinario attore di teatro Mark Rylance, candidato all’Oscar come migliore attore non protagonista), spia dell’Unione Sovietica. L’istinto di base e il clima dell’epoca sarebbero quelli di giustiziarlo più rapidamente possibile, ma facendo in modo comunque di salvaguardare l’idea americana di giustizia e almeno l’apparenza di un giusto processo. Per questo l’incarico viene affidato ad un riluttante avvocato indipendente, tale James Donovan ( un grande Tom Hanks), legale assicurativo di Brooklyn, del tutto inesperto di giustizia penale, ma molto coscienzioso e orgoglioso del proprio ruolo di difensore della legalità contro tutto e contro tutti. Il processo, naturalmente, va come deve andare, stante l’avversione della società intera, ma porta a due grossi risultati: 1) la trasformazione della pena di morte in pena detentiva, grazie al brillante suggerimento di Donovan di tenere il detenuto come possibile merce di scambio con il nemico per una eventuale futura necessità, 2) l’avvicinamento tra i due personaggi e la stima reciproca che porteranno ad un fondamentale clima di fiducia che risulterà risolutivo. Il povero Donovan diviene bersaglio di critiche ostili e parafulmine dell’astio di tutti quelli che lo circondano, dai parenti più stretti ai passeggeri della metropolitana, ma la sua bravura negoziale viene notata e utilizzata ben presto quando si presenta il temuto caso di una giovane spia americana, Francis Gary Powers, che viene catturato vivo, nonostante le istruzioni ricevute, dopo l’abbattimento del suo aereo spia sui cieli dell’Unione Sovietica. Così viene buono il possibile scambio con la spia russa Abel e l’avvocato Donovan viene ripescato e inviato in gran segreto a negoziare con i russi a Berlino. Qui bisogna dire che la maestria di Spielberg risulta davvero mirabile nel ricostruire l’ambiente, l’atmosfera di Berlino all’epoca della costruzione del muro, con i suoi palazzi in rovina e la strade sventrate, la U-bahn, i poliziotti della Germania Est, i decadenti edifici di rappresentanza, le galere e gli interrogatori, la malavita, gli intrighi di potere e i negoziati sempre sul filo del fallimento. La cosa si complica quando un povero studente americano, ingenuo e sprovveduto, viene fermato e arrestato a Berlino Est con la falsa accusa di essere una spia, ma in realtà con la mira di farne merce di scambio in qualche futuro negoziato. Il merito dell’avvocato, scosso da questa vicenda e dall’età del ragazzo irresponsabile, sarà quello di legare la trattativa per la spia a quella del ragazzo, condizionando gli avversari ad una doppia liberazione. L’esito sarà naturalmente trionfale con il rientro in patria dei due e la riconsegna di Abel all’Unione Sovietica e alla famiglia. Mirabile, come si diceva, la ricostruzione dell’epoca, dei due diversi ambienti dell’est e dell’ovest e dell’atmosfera di allora, così ideologizzata e gravida di pericoli. Il lato forse più criticabile, da parte di noi europei smaliziati, soprattutto avendo seguito la politica americana nel mondo e gli eventi che si sono succeduti negli anni, è l’entusiastica affermazione, quasi propagandistica, di un modello ideologico che Spielberg pare accettare con entusiasmo, facendosene portavoce anche nei suoi aspetti più critici e meno luminosi.

LA CORRISPONDENZA Italia 2015
Regia: Giuseppe Tornatore. Sceneggiatura: G. Tornatore. Fotografia: Fabio Zamarion. Musiche: Ennio Morricone. Interpreti: Olga Kurylenco, Jeremy Irons.
La storia del film, di cui Tornatore è regista e sceneggiatore, è quella di un maturo professore di astrofisica (…non una scelta casuale…) e della sua amante, una ex allieva fuoricorso, giovane e bella, con cui sembra aver vissuto per anni una intensa relazione extraconiugale sull’isola di Orta San Giulio. La ragazza svolge come lavoro occasionale, molto apprezzato e richiesto, quello di controfigura ( stunt-woman) nei film d’azione, spesso ai limiti della sopravvivenza fisica; quasi sempre nella finzione la scena si conclude con la morte del personaggio suo doppio e il suo ritorno alla vita reale sembra la ripetizione ossessiva di qualcosa che è già accaduto… Subito dopo le prime scene, in cui si vedono i due insieme, il professore scompare e i loro contatti avverranno solo per via virtuale ( una nuova “corrispondenza” 2.0 ), secondo un preciso copione deciso da lui e che la ragazza, sempre più angosciata, è spinta a seguire, come una specie di caccia al tesoro. L’azione si svolge tra la Scozia e il lago d’Orta, con una Edimburgo e l’Isola di San Giulio assai bene fotografati, tutti sui toni del grigio. Ben presto la ragazza scoprirà che il suo amante in realtà è deceduto e i messaggi filmati le arrivano in successione secondo quanto stabilito e deciso dal prof. che nel contempo vuole tenerla legata a se, dimostrarle ancora il suo grande amore e consolarla per la sua scomparsa. E, in più, guidarla ancora, come un maestro, a risolvere certi problemi affettivi ( il rapporto con la madre, i grossi sensi di colpa per un vecchi incidente stradale con esito infausto ) e spronarla finalmente a concludere gli esami e a scrivere la tesi di laurea. Il gioco però alla fine si fa insistente e angosciante, tanto che la ragazza si decide ad interrompere questa relazione virtuale gettando il dischetto nel fuoco, nel tentativo di riprendere in mano la situazione e la propria esistenza. Ben presto tuttavia se ne pentirà e cercherà in ogni modo di riallacciare il rapporto virtuale che però si risolverà solo dopo che tutti i tasselli, anche della sua vita, saranno andati al loro posto, secondo le decisioni del professore. Una storia d’amore originale, ben studiata e intrigante, un racconto pieno di allusioni e di simboli non sempre di immediata interpretazione, ma che si trascina un po’ troppo per le lunghe dopo la idea iniziale e che diventa un po’ macchinoso. Tanto di cappello al Tornatore regista, meno convincente come sceneggiatore.



 
 
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