Homo Defecatorius - Nuovo Progetto

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a cura di Mario Villa Accettazione P.O di Rho
 La questione è semplice: qual è il prodotto che l’uomo ha prodotto (scusate la ripetizione, ma non sono riuscito a trovare termini più adatti alla situazione) di più dalla sua comparsa sulla terra? La merda. Se si potessero impilare tutti gli escrementi defecati dall’uomo nei milioni di anni dell’esistenza della specie, ne risulterebbe una montagna ben più alta dell’Everest, una specie di torre di Babele maleodorante, visibile dallo spazio ben più della Grande Muraglia.
Parentesi terminologica. Quando scrivo uomo non intendo maschio, ma homo, anthropos, adam, cioè essere umano, umanità.
Se l’uomo avesse prodotto soltanto merda fisica, saremmo a cavallo. E’ il resto delle schifezze messe in atto dall’umanità che rende questa nostra storia così difficile da attraversare. Guerre, soprusi, ingiustizie, falsità, omicidi, oppressioni, stragi, pulizie etniche, schiavitù, lavoro coatto, pornografia, pedofilia, tradimenti, pena di morte, carcere a vita, inquinamento, dittature, violenze domestiche, razzismo, morti e infortuni sul lavoro, e mi scuso se ho dimenticato qualcosa. Di tutto questo ricorderò solo un nome: Auschwitz, probabilmente l’ombelico di tutto il male e la sofferenza prodotte dall’uomo. Auschwitz, il male allo stadio puro, dove il non-senso è stato eletto a sistema, il luogo dove potevi essere ucciso oggi per un gesto o una parola che ieri ti avevano salvato la vita, il lager dove avere le scarpe sporche e costruire un muro in modo che crollasse erano la vera dignità. E dove le persone vivevano spesso e altrettanto spesso morivano a seguito di diarree devastanti, immerse nelle proprie stesse feci, così che la morte rivelava in pienezza il suo non-essere in alcun modo dignitosa, anzi, il suo stesso non-essere.
Certo, l’uomo ha prodotto anche grandi opere, monumenti eccezionali, come i templi egiziani o persiani, le magnifiche moschee iraniane, le cattedrali europee, i monumenti romani e greci, le piramidi azteche, Machu Pichu e quant’altro. A parte il fatto che la natura ha confezionato ben altro – basti pensare alla Monument Valley, al Cervino, alle dune del Sahara, al Grand Canyon, al Deserto Bianco, al Karakorum – non si può non considerare quante persone sono state costrette a lavorare per edificare costruzioni che servivano solo alla gloria di coloro che le avevano commissionate e che hanno visto molti dei miseri operai morire o restare invalidi per il resto della loro vita. Queste grandi opere sono state edificate sul sangue di persone innocenti, colpevoli solo di essere nati poveri o miseri e per questo anch’esse sono merda, perché la loro maestosità e la loro bellezza non bastano a porre rimedio all’oppressione e al disprezzo per le persone e per la vita che stanno alla base della loro realizzazione. E quando ancora la terra ruoterà intorno al sole, centinaia di migliaia di anni dopo che la stirpe umana sarà scomparsa, di tutte queste opere non resterà che pietra su pietra, senza che nessun fanatico estremista abbia mosso un solo dito per abbatterle. Penso alle splendide città costiere della Libia, prima fenicie, poi greche, quindi romane e infine bizantine: è bastata una piccola scossa di terremoto e tutto è crollato: teatri dall’acustica perfetta invasi dal rumore delle onde del Mediterraneo, teste gigantesche di gorgoni precipitate ai piedi delle colonne che le sorreggevano, fontane monumentali alte come un palazzo di sei piani ridotti ad un ammasso disordinato di tessere di un puzzle quasi impossibile da ricomporre. E non posso non ricordare il vecchio villaggio di Tamerza, oggi paese fantasma a causa dello straripamento di un piccolo uadi; e le case della guelta di Mimoun, ormai disseccata: bastava spostare la sabbia con la mano perché comparissero i tetti di mattoni ocra.
Eppure, nonostante tutta la merda da lui stesso prodotta, l’essere umano continua il suo viaggio attraverso la storia di questo mondo. Certo, si potrebbe camminare in un paesaggio migliore: senza ingiustizia sociale, senza bambini costretti a combattere le guerre degli adulti o a lavorare dalle quattordici alle diciotto ore al giorno nelle fabbriche asiatiche che producono gli oggetti del nostro desiderio o a prostituirsi nei bordelli di mezzo mondo per i nostri turisti sessuali, senza le città distrutte dalle bombe intelligenti, senza le donne violentate o schiavizzate sulle strade, senza barboni accampati nelle gallerie scintillanti delle nostre città su cartoni usati come letti, senza schiere di disoccupati scartati dal sistema, senza anziani abbandonati senza motivo in case di riposo lager, senza morti di fame in lande essiccate da mesi o anni di siccità, senza pubblicità martellante che tenta di renderci più idioti di quello che siamo già, senza popolazioni intere costrette a fuggire per non essere sterminate da orde di fanatici religiosi bramosi di un nuovo secolo oscuro, senza l’atroce estrema sofferenza dei malati di cancro Sla, Alzheimer, Huntington Aids, Malaria e mille altre malattie che costringono le vite in lande di dolore insopportabile, senza persone in stato vegetativo permanente, senza persone incarcerate per le loro idee, senza violenti insensati, senza inquinatori e distruttori dell’ambiente naturale, senza merda umana, insomma. Che noi produciamo, non dimentichiamolo. Non diamo la colpa agli dei creatori o a crudeli extraterrestri, sperimentatori di nuovi mondi e nuovi esseri. E’ il nostro libero arbitrio che ha prodotto tutto ciò per cui urliamo contro il cielo, evitando accuratamente di impegnarci per un mondo migliore, più giusto, nel quale la pace e la convivenza fraterna, non solo civile, possano finalmente essere il carattere prevalente.
Ecco allora la missione che siamo chiamati a svolgere - decidete voi da chi o da cosa, sia anche solo il desiderio di sopravvivere o di tranquillità: trasformate il libero arbitrio in libertà. Perché se è vero che in nostro potere fare quasi tutto, è altrettanto vero che non tutto quello che facciamo ci rende liberi; anzi, spesso ci rende schiavi dei nostri desideri, della sete di denaro, dell’essere alla moda, del salutismo a tutti i costi, dell’apparenza esteriore, delle nostre pulsioni sessuali, dell’ambizione, della bramosia di potere, del carrierismo, dell’ingordigia della gola, del possedere miriadi di oggetti che restano poi inutilizzati nelle nostre case o nelle nostre cantine. E soprattutto non tutto quello che facciamo contribuisce a costruire una società più giusta e pacifica, un ambiente di vita dove l’incontro e l’ascolto prevalgano sullo scontro e sulla prevaricazione.
Non si può più tacere di fronte a tutta la merda che produciamo, non possiamo rimanere inattivi davanti alla montagna cosmica di escrementi che abbiamo innalzato. E nessuno dica: Io non centro niente con tutto questo. Ogni volta che stiamo zitti, ogni volta che non denunciamo la falsità del potere, ogni volta che ci voltiamo dall’altra parte, ogni volta che non facciamo ciò che è in nostro potere fare, ci rendiamo complici e colpevoli delle persone e delle strutture economiche e di potere che inondano di sterco puzzolente il nostro mondo. Anche se noi spesso ci assolviamo, siamo lo stesso coinvolti.
Io spero - e invito chi legge a sperare con me - in un mondo libero dalla merda che oggi lo opprime, in un uomo che finalmente si trasformi da defecatorius in sapiens sapiens e incarni la sapienza in un’esistenza più giusta e ricca di shalom, la pienezza, tutti devono contribuire a costruire, nella quotidianità del loro lavoro, delle loro case, della loro socialità, perché il bene comune sia davvero l’obiettivo perseguito da ognuno.

 
 
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