Se cento anni vi sembran pochi… a cura di Claudio Ciprandi P.S ospedale Rho - marzo

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Se cento anni vi sembran pochi… a cura di Claudio Ciprandi P.S ospedale Rho

Rompendo gli schemi classici della rubrica dedicata ai libri, vorrei consigliare non la lettura ma la visione di uno straordinario filmato, facilmente recuperabile attraverso Youtube, datato 1914! Il suo titolo originale è  Kids Auto Races at Venice, ed è il primo cortometraggio ( la sua durata è di poco superiore ai sei minuti) in cui compare Charlot, la maschera buffa, inquieta, tenera e triste che ci ha regalato il genio di Charlie Chaplin. La trama è semplicissima, ma di una modernità sconcertante: durante una gara di automobiline per bambini che si svolgeva in California, uno strano ometto con baffetti, bombetta e bastone si piazza davanti alla macchina da presa disturbando con le sue moine da improvvisata "primadonna" la troupe intenta a riprendere la manifestazione e facendo divertire il pubblico presente. Proprio come un "guastatore" ante litteram dei Tg, ma con tutt’altri intenti, e talenti.  Nasceva così il personaggio che ha divertito e commosso il mondo, il nobile e maldestro clown che, da reietto, ha combattuto e sovvertito con la sua profonda umanità le convenzioni e i valori di una società in cui dominavano, allora come oggi, denaro, violenza e potere. La costruzione del personaggio di Charlot, nato quasi per caso, è solo uno degli innumerevoli episodi che Charlie Chaplin racconta nella sua autobiografia, scritta con grande amarezza a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 dello scorso secolo quando, accusato di filocomunismo, dovette abbandonare gli Stati Uniti per tornare in Europa. Tratto molto liberamente da questa autobiografia è, invece, il primo libro che mi piacerebbe consigliare; L’ultimo ballo di Charlot di Fabio Stassi che la casa editrice Sellerio, presenta in questo modo:
In una sera di Natale la Morte va a trovare Charlie Chaplin nella sua casa in Svizzera. Il grande attore e regista ha passato gli ottant’anni ma ha un figlio ancora piccolo e vorrebbe vederlo crescere accanto a sé. In un lampo di coraggio Chaplin propone un patto alla Vecchia Signora: se riuscirà a farla ridere si sarà guadagnato un anno di vita. Inizia così un singolare balletto con la Morte, e quella notte a salvarlo non sarà la tecnica consumata dell’attore ma la comicità involontaria che deriva dagli impacci dell’età. La questione però è solo rinviata: anno dopo anno, a Natale, la Vecchia tornerà a reclamarlo e bisognerà trovare il modo di suscitarle almeno una risata. Nell’attesa dell’incontro fatale Chaplin scrive una lunga e appassionata lettera al figlio. Vuole raccontargli la storia vera del suo passato, quella che nessuno ha mai ascoltato, ed ecco che dalle sue parole scaturisce l’avventura rocambolesca di una vita e il ritratto di un’epoca rivoluzionaria. L’infanzia umile in Gran Bretagna, il padre alcolizzato e la madre che perde il senno, l’esordio sul palcoscenico assieme al fratello, il circo e il vaudeville, i primi successi e lo sbarco negli Stati Uniti, dove il giovane Chaplin passa da un mestiere all’altro – tipografo, boxeur, imbalsamatore – e da una costa all’altra. È un orfano a spasso per il Nuovo Mondo, incontra uomini straordinari e gente comune, e dalla loro anima generosa sembrano nascere sempre nuove possibilità. In quegli anni tutto sta cambiando, un fascio di luce su uno schermo bianco ha acceso la fantasia di un’intera nazione. L’America che accoglie Chaplin si guarda allo specchio in quelle prime pellicole, è romantica e vibrante, utopica e capace di qualsiasi gesto, dal più altruista al più vile. È leggiadra come Ester, la cavallerizza che ha incantato l’Europa, e cupa e violenta quanto il Ku Klux Klan. Le avventure di Charlie si susseguono a ritmo frenetico, fra tonfi e trionfi, illusioni e disillusioni, fino al giorno in cui ogni istante di quella vita, ogni emozione e ricordo, si trasformano miracolosamente in qualcosa di assolutamente nuovo.
Accade davanti agli occhi stupefatti di una troupe impegnata in un film: un paio di baffetti, una camminata obliqua e incerta, un bastone e una bombetta polverosa, i modi di un Lord nei vestiti di un pezzente.Charlie Chaplin, venticinque anni e l’esperienza di un vecchio marinaio, ha smesso di esistere.
È nato Charlot, il Vagabondo, e il mondo non sarà più lo stesso.Purtroppo, che il mondo non sarebbe più stato lo stesso non fu certo merito della comparsa sulla ribalta di Charlot, in quel lontano 1914. Infatti pochi mesi dopo, esattamente il 28 giugno, a Sarajevo il diciannovenne nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip scaricò la sua pistola contro l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, innescando quella spirale di violenza che sfociò nella Prima Guerra Mondiale e, veramente, il mondo non fu più come prima… Ad onor del vero anche Charlot, nel 1918, a guerra finita, indossò i panni di un improbabile soldato in trincea, e quel film, Shoulder Arms (Charlot soldato), può essere considerato ancora oggi uno dei più bei documenti contro la follia della guerra…“La follia della guerra”, quante volte abbiamo sentito e pronunciato questa frase, quasi a giustificare la guerra, quasi a considerarla una malattia, una calamità naturale, quasi che non sia opera di uomini con i loro maledetti interessi da difendere o, meglio, da imporre contro e su altri uomini…Nei prossimi quattro anni, ne posiamo stare certi, assisteremo ad un vero e proprio diluvio di iniziative dedicate a ricordare, a commemorare e, purtroppo, a glorificare i cento anni che ci separano dalla Grande Guerra, ci racconteranno ancora una volta che, nonostante l’orrore, nonostante i nove milioni di morti e i venti milioni di feriti, nonostante la miseria, nonostante la fame, da quella guerra scaturirono progressi scientifici di cui ancora oggi beneficiamo tutti quanti, numerosissimi saranno anche i libri che tratteranno lo stesso tema.Qualcosa è già stato pubblicato e i miei consigli di lettura si concentrano su due libri appena usciti che non trattano “la follia della guerra” ma, controcorrente, “la follia nella guerra”, individuando nella realtà della trincea l’insorgere di patologie devastanti, tanto gravi e diffuse da entrare nel lessico popolare come ad esempio “scemo di guerra” che proprio da quegli anni trae la sua origine…
Il primo libro, lasciatemelo dire, è un vero capolavoro! E’ un libro a fumetti, il suo titolo è “unastoria” (proprio così come l’ho scritto, minuscolo e in un’unica parola), il suo autore Gipi (Gianni Pacinotti), l’editore è Coconino Press.  
Unastoria è la storia di un uomo che va in pezzi. Silvano Landi, scrittore di successo lasciato dalla moglie, alla soglia dei cinquant’anni finisce in un ospedale psichiatrico. Lo hanno trovato in stato confusionale su una spiaggia. Sembra non comprendere più la realtà e disegna ossessivamente due cose che ricorrono nelle sue visioni: una stazione di servizio e un grande albero spoglio. Landi è affascinato dalle lettere ritrovate del bisnonno, soldato nella carneficina della Prima guerra mondiale, che dalle trincee scriveva a casa. Sempre a un passo dalla morte, ma animato da un’incrollabile volontà di vivere per poter tornare un giorno dalla moglie e dal figlio.Le due storie, il presente di Silvano Landi e il passato del suo avo Mauro, si intrecciano e diventano unastoria. La storia della fragilità di ognuno di noi, sospesi tra la bellezza e il continuo sentimento della sua perdita, tra la dolcezza e la tragedia della vita. Sotto i cieli dipinti ad acquerello di una natura magnifica e indifferente, splendida e crudele, Gipi disegna piccole donne e piccoli uomini di ieri e di oggi, le lacrime e le speranze che da sempre ci segnano il viso. Unastoria è la storia di quel punto di svolta nella vita oltre il quale si affaccia alla coscienza, d’un tratto, la paura di invecchiare e morire. È la storia di una caduta nell’abisso. E di come però, nonostante tutto, ogni volta ci si può rialzare.L’altro libro che vorrei consigliare è la riproposizione di una serie di racconti, scritti tra il 1919 ed il 1923, da Federico De Roberto, per intenderci, l’autore de I Vicerè (il romanzo più amaro e impietoso dedicato alle illusioni rivoluzionarie che accompagnarono il nostro Risorgimento), il titolo di questo libro è La paura e altri racconti della Grande Guerra e la casa editrice è E/O. La trama del racconto che dà titolo al libro è di una semplicità sconcertante e, proprio forse per questo, drammatica. Durante la Grande Guerra, il Tenente Alfani deve mandare uno dei suoi uomini nella “terra di nessuno”, quello spazio che divide le trincee presidiate dai due eserciti contrapposti, per riconquistare una postazione rimasta sguarnita. Inoltrarsi in quello spazio aperto, vuol dire morta certa, vuol dire diventare facile bersaglio per i cecchini nemici. Uno alla volta, descrivendo nel proprio dialetto la paura che li accompagna, quattro soldati tenteranno la sortita e, inevitabilmente, uno alla volta verranno falciati mortalmente. Il Tenente Alfani, a malincuore, punta il dito su Morana, il suo soldato migliore che, alla sua richiesta di uscire dalla trincea risponde “Signor Tenente, io non ci vado!”. Scoprire le conseguenze di questo gesto di ribellione, ciò che ne seguirà, è giusto lasciarlo al lettore per non togliere il gusto di una bellissima scrittura che mostra la verità oscena di quella come di ogni altra guerra…Rinunciando a svelare la fine del racconto di De Roberto, posso, comunque, utilizzarne l’incipit per concludere questo articolo…Nell’orrore della guerra l’orrore della natura… Non so se si possa definire orrore della natura quello che si è consumato domenica 25 gennaio in Piazza San Pietro quando, durante l’Angelus, una delle due colombe bianchissime liberate da due bambini dell’Azione Cattolica, affacciati assieme a Papa Francesco, è stata prima aggredite da un nerissimo corvo e poi finita da un enorme gabbiano. Non so se si possa definire orrore della natura ma, sicuramente, la natura ci ha dato una bella lezione, ci ha costretti a fare i conti con la nostra abitudine di caricare di simboli, tutti ideologici, le manifestazioni della natura. In un batter d’ali ci ha costretto a rivedere l’idea del gabbiano come simbolo di libertà che ci eravamo costruiti leggendo “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach…Forse ci ha meno stupiti vedere un corvo, classico simbolo del male, aggredire il simbolo della pace per eccellenza e, allora, per superare anche questo stantio clichè, proviamo a rileggere una bellissima poesia di Edgar Allan Poe, Il corvo appunto, lasciamo risuonare nelle nostre orecchie il suo ossessivo Nevermore,  con la speranza che diventi il nostro Mai più nei confronti delle presenti e delle future guerre.





 
 
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