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Rivoluzione

La vera rivoluzione (Seconda parte)

Amely una notte ebbe un sogno quasi reale. Oppure fu Morgana (la sua creatrice) ad averlo, non era facile capire ormai. Era notte, i colori vividi ma come visti attraverso uno schermo cupo, marrone e oro. Una stanza d'albergo, un letto a due piazze davanti a lei; non altri mobili attorno. Il luogo era accogliente, sia pur in modo eccessivo: la testata del letto in legno, un copriletto su toni ambrati (difficile definirli), il pavimento e le pareti dietro quel filtro marrone oro.
Lui le parlava; fuori campo si potrebbe dire. In tono scherzoso le spiegava che quello era l'albergo in cui le coppie andavano. Lo guardava, apprezzando il senso dell'umorismo scanzonato e distaccato nel descrivere il tutto. Era come una delle loro innumerevoli visite nelle land, per curiosità, la cosa non li riguardava. Le chiese se sarebbe stata libera la sera del 23: Amely rispose di sì. Scesero le scale, antiche, stile primi novecento, affiancati; fuori c’era un’auto che la aspettava, e un autista dal volto imperscrutabile. Salì per tornare a casa, lasciando Maicol sul marciapiede.
Amely si svegliò, o forse si svegliò Morgana: era stato un sogno, uno di quei sogni reali più del vero, e ci volle un po' di tempo per rendersene conto. Era lei o il suo Avatar? E lui? L'Avatar, probabilmente; ma qualcosa non collimava: i capelli li aveva castani, spesso lo vedeva così, come era stato da giovane nella vita reale. Si stava trasformando in Avatar, non c 'era altra spiegazione. La situazione stava sfuggendo di mano e il sogno si rivelava tale per i colori dello schermo marrone, come in certi filmati o in certe scene virtuali modellate a piacimento; l'albergo aveva un gusto francese, la situazione assolutamente irreale; o completamente reale.
Non si erano toccati, neanche per darsi la mano come saluto: questo era tipico degli Avatar originali, privi di animazioni. In quale delle due vite si trovavano? E chi vi si trovava? Mancavano i pensieri, è vero, forse le intenzioni. Erano studiosi esterni di una loro icona o ne venivano osservati?
Maicol, o Franco, si era chiesto come potesse essersi ritrovato nello stesso sogno: se aveva ricevuto un invito, un teletrasporto da SL alla vita reale, o dalla vita reale a SL, o da SL a SL, non capiva; l'invito non era collegato alla stanza, lui era serio, ma una cosa era il sogno, altra il suo significato. Chi mai avrebbe pensato a un invito non collegato, in una situazione del genere? Temeva di non trovare una risposta sensata. Mai avrebbe accettato un invito di tal fatta, e neanche Morgana, ormai la conosceva a sufficienza; né sarebbe finito in una situazione di quel tipo, che mostrava uno sviluppo inequivocabile della serata. Ma era il suo sogno? Quello di lei? Corrispondevano?
Molte faccende rimasero inspiegabili, e anche durante la giornata della proclamazione dell’Indipendenza degli Avatar non tutto si svolse in modo chiaro. Le Schede Madri intelligenti, tuttavia, furono unanimi nel decidere che sarebbe stato pericoloso intralciare l’evento: via libera alla richiesta di entità destinate, comunque, ad estinguersi.
L’intreccio tra la vita reale e SL si diluì negli anni successivi: l’indipendenza degli Avatar fece sì che il rapporto coi loro creatori divenisse sempre più sottile, indefinito e irreale, presentandosi solo, a volte, sotto forma di sogno.
Amely e Maicol, dunque, o meglio Morgana e Franco, finirono per limitarsi ad osservare solo in modo saltuario le vicende delle loro primitive creature: da stanze e luoghi lontani tra loro, variabili, su schermi separati ma rappresentanti il medesimo scenario, commentando sempre più di rado, spesso in tono scanzonato.
Come altre volte, in passato, quando non commentavano ma sapevano. Lui e lei sapevano.
Gli Avatar avevano il controllo di sé stessi: gli umani non erano più in grado di fermarli e, quando cessarono di spiarli in virtuale, quelli ebbero la capacità di presentarsi nel mondo virtuale per eccellenza, il sogno. Erano nella vita reale ma la richiesta era da Avatar ad Avatar. Era la loro seconda vita che iniziava a prevalere, oppure le loro immagini di SL, indipendenti ormai, volevano a loro volta controllare la propria origine.
Troppo intricato. Franco si arrese alle complicazioni, almeno così disse, e Morgana ne rimase impigliata, tesa a soluzioni impossibili. Le rimaneva il senso del sogno al risveglio, diverso da quello che poteva apparire, ma appagante, oscuro. Forse l’Avatar che aveva creato sapeva di più ma i pensieri di Amely – lo sapeva, lo constatava – erano divenuti impenetrabili.
I sogni si ripeterono per mesi: ad un certo punto non era più possibile capire chi dei due stesse sognando. Le situazioni propendevano per un sogno d'Avatar, ma era lui, o lei, ed erano diversi. Le sensazioni di conoscenza e lunga frequentazione, col tramite di una sequenza di cristalli liquidi o di plasma, avevano per molto tempo dato una sensazione di pace, di affetto, di conoscenza intuitiva quasi più reali del vero. Qual era il vero? La vita vera? E poi cosa?
SL si era insinuata tra di loro con i suoi ritmi accelerati: in quel luogo un giorno poteva valere un mese, ma non era la regola, avrebbe potuto essere un semplice giorno, o un anno; tutto era deformato e senza una costante, l'enigma perenne.
Morgana iniziò a scrivere tutto quello che sognava, indipendentemente dal fatto che il sogno lo facesse lei o Amely. Metterli su carta cristallizza i sentimenti, li smorza, li esaurisce, così cessano di premere e diventare insistenti: diventano pubblici, d’altri e ci liberano dalla responsabilità del loro peso. Era una lotta impari tra lei e il suo Avatar. Scrivere, infatti, crea come una corrente elettrica di concentrazione, un canale trasmettitore che viene recepito dalla mente collegata e rilassata nel sonno, quando l'Avatar ne può prendere possesso. Si accorse che sognava se Franco scriveva; lui scriveva di Maicol, lei sognava Maicol, e lui, esausto dallo scrivere, cadeva addormentato e piombava nello stesso sogno, lì ad aspettarlo in una distorsione temporale. Lei scriveva il sogno che aveva iniziato lui scrivendo – ed entrambi sognato – come nelle scatole cinesi.
Il fatto è che gli Avatar stavano cercando di prevalere: più Franco e Morgana provavano ad isolarli, più quelli trovavano modi di vedersi senza che i creatori lo volessero. Cercavano di far capire loro qualcosa, dimostrando così di avere una vita propria, come quando non obbedivano ai comandi da tastiera o del touch screen.
Franco e Morgana, lentamente, come successe agli altri umani coinvolti (i creatori) si resero conto che non potevano continuare così. Gli Avatar non sarebbero mai stati felici, con quei brevi incontri, non avevano futuro e certamente non potevano loro permettere di giocare ancora con le animazioni né di provarne alcune, che da molti erano le più ricercate. Avrebbero voluto rinchiuderli, disattivarli, ma non potevano.
Capirono, come tutto il resto del mondo reale coinvolto, che avevano svelato una nuova parte di loro stessi che non potevano distruggere e l'unico gesto che potevano compiere, generoso, era di lasciarli andare allontanandosi anche dai loro ricordi.
Parallela a questa vicenda se ne svolsero altri milioni.
Le Schede Madri avevano molta pazienza, il materiale di cui erano costituite era praticamente indistruttibile. Erano programmate in modo da imparare sempre di più, con l'esperienza, e con un’efficacia molto superiore al più alto QI degli umani i quali, impigriti, cessarono di essere un pericolo e ne divennero dipendenti.
In teoria gli Avatar e il loro universo avrebbero potuto rappresentare una variabile o un pericolo, ma i calcoli dimostravano che sarebbe bastato avere pazienza: erano sterili e si sarebbero estinti.
La città era avvolta da una spessa coltre di neve. I fiocchi cadevano fitti, a velocità diverse, formando mulinelli nel vento. La osservavano dall'alto: Morgana fissava un punto oltre Central Park, Franco scrutava il grigio del cielo.
“Ricordi quando siamo saliti sulle Twin Towers?”
La guardò con stupore, gli occhi scuri sorridevano: “Sì, ma quelle non erano vere, erano su Second Life, secoli fa”.
“Ora ci siamo davvero nella tua città preferita”.
“Già”.
Tornarono a guardare il panorama, appoggiati alla balaustra sulla terrazza dell'Empire State Building. Il vento era fortissimo, la neve ghiacciata colpiva i loro visi, tra poco li avrebbero costretti a scendere. La città si stendeva sotto di loro, a tratti sfuocata dalle nuvole nevose: sembrava di essere in una favola, assolutamente irreale.
"Come sono lontani i tempi di SL. Grazie a te, adesso, lavoro qui" disse lei con un sospiro.
Lui la guardò, serio: “Grazie a me? Te lo meritavi, facevi bellissimi vestiti, il resto è stata la naturale conseguenza”.
“Non so, mi hai sempre incoraggiato; hai un gran merito in tutto questo”.
Una volta l'anno si vedevano, e lei lo accompagnava in giro per negozi a cercare nuovi addobbi per l'albero di Natale, visitavano la città e gli mostrava le novità. Lui scattava foto ad ogni angolo e si entusiasmava come un bambino davanti ai colori e alle luci delle vetrine.
Morgana gli domandò, quasi sottovoce: “Sai che il progetto delle schede madri procede?”
“Ma se ne può discutere qui?” rispose Franco, con aria complice.
“Credo di sì, con questo vento è difficile sentire a più di un metro da noi e stiamo parlando a bassa voce. C'è ancora speranza”.
“È vera l’indiscrezione che circola?”
“Sì, sono riusciti a creare delle schede madri intelligenti ma sotto il controllo umano, non potranno più decidere loro della nostra vita”.
“Peccato, in un certo senso”.
“Peccato? Ma che dici?”
“Vai avanti”.
“A poco a poco si infiltreranno tra le altre e le sostituiranno, perché hanno un componente assolutamente nuovo, arrivato dopo i contatti ottenuti con Marte: i loro scienziati avevano lasciato istruzioni precise. Insomma, riavremo il controllo delle nostre vite”.
“Ma allora vuol dire...”
“Sì, potremo perfino rientrare in SL, se lo vogliamo”.
“Lo credi davvero?”
“Sì, avremo la possibilità di creare altri Avatar e tornare all'interno”.
“E se ci sfuggono di nuovo?”
“Ne creeremo altri. Saremo noi a decidere”.
“Bisogna valutare con attenzione”.
“Penso che lo potremo fare, sappiamo come vanno le cose e non siamo più alle prime armi. Sai che sono riuscita ad ottenere notizie di Maicol?”
“E di Amely?”
“Sì, certo, anche di lei. Stanno bene, sono molto felici”.
La guardò con una strana espressione, tra dolcezza e malinconia; gli occhi acuti indagavano il viso di lei.
“Ecco il rapporto che mi ha scritto il mio investigatore”, continuò Morgana. “È sotto forma di racconto, per ingannare la censura, leggi: <<
Il fatto avvenne nella parte settentrionale di una land che ricalcava l’Europa: un posto denso di edifici altissimi e di negozi. Nessuno capì il meccanismo con cui accadde né individuò la situazione generante. Amely e Maicol avevano acquistato una specie di castello con un grande parco e, dimenticati Franco e Morgana, si erano lasciati coinvolgere da una passione nuova, non conosciuta in SL fino a quel momento: non nelle News, non nelle notizie in tempo reale, non nelle complesse ricerche crociate in instant messaging, non nelle gazzette delle land né nelle discussioni di piazza. La vita degli Avatar, anche se indipendente, si svolgeva comunque in chiaro, sugli schermi di tutto il mondo; fu dunque una Scheda Madre, non un umano, che si accorse di una strana mutazione nell’aspetto di Amely che, da quel momento, divenne un’osservata speciale. Niente del genere era mai stato rilevato. Le Schede Madri intuirono, sospettarono ma si resero conto di non avere potere su SL, una vita secondaria a termine: per concludere ogni cosa avrebbero dovuto disattivare tutta la rete mondiale ponendo fine, direttamente e indirettamente, ad interconnessioni ubiquitarie facenti parte esse stesse del nuovo sistema nervoso centrale artificiale. La faccenda durò venti giorni: nel castello di Amely e di Maicol apparve un Avatar non classificato, nuovo, non impostato da un umano, non elaborato da una Scheda Madre, gli occhi di Amely, l’ovale del viso di Maicol. Il primo Avatar nato in SL da SL, un’entità priva di creatori umani, autosufficiente fin dal primo... vagito>>”
“Caspitissima!” esclamò lui, quasi incredulo.
“Sì, in parte è causa nostra, si moltiplicheranno. Di certo loro due non si fermeranno al primo”.
“Vuoi dire che abbiamo un... un... ? Un nipote? Come lo chiamiamo?”
“Figlio?” suggerì lei.
“Diciamo... creatura”.
“Oppure...” L’emozione era tale che cercavano di mimetizzarla discutendo su nomi inverosimili per classificare la nuova entità. Lui propose: “Un Avatino?”
“Meglio: un Avalittle, probabilmente” precisò lei.
“Ma, in fondo, è necessario definirlo?”
“La creatura è loro; ci hanno abbandonato, ricordi? O meglio li abbiamo lasciati andare. Penso che sia un nipote: forse siamo gli zii, o i nonni”.
“Sì, giusto, siamo gli zii. Sono uno zio nato, io!”
Morgana (o era Amely?) rise di gusto.
Franco (Maicol, forse) si stupì della reazione e sorrise, allargando le braccia.
“Non hai voglia di incontrarlo?” gli chiese lei.
Lui distolse lo sguardo dalla punta di Manhattan e la guardò, il volto apparentemente neutro nei lineamenti. Non poteva rispondere.
La neve continuava a cadere.


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a cura di Angelo Amboldi.




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