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TIMBUKTU
Regia: Abderrahmane Sissako. Mauritania, Francia 2014. Sceneggiatura: A. Sissako Montaggio: Nadia Ben Rachid Fotografia: Sofian El Fani. Musiche:Amin Bouhafa, Ali Farkà Tourè, Ry Cooder Interpreti: Ibrahim Ahmed, Toulou Kiki, Abel Jafri,Layla Walet Mohamed, Fatoumata Diawara.
Se è possibile raccontare l’orrore e l’aberrazione attraverso la poesia e la bellezza delle immagini, bisogna dire che il regista maliano c’è riuscito mirabilmente. Splendido film, presentato a Cannes nel 2014 e candidato agli Oscar come miglior film straniero, in cui il regista Sissako racconta l’occupazione di Timbuktu da parte dei jihadisti dell’ISIS attraverso le vicende di una serena famiglia di pastori ( Kidane, sua moglie, una figlia piccola e un giovane pastorello che li aiuta ), che vivono tranquillamente la loro vita in una tenda fuori Timbuktu. Attraverso il racconto della vita degli abitanti, sconvolta dalla violenza ideologica e religiosa degli occupanti, veniamo a conoscenza delle imposizioni, delle punizioni, delle assurde regole di vita cui vengono costretti tutti, ma in particolare le donne, senza nessuna possibilità di scampo e nessuna pietà, nemmeno con l’intercessione del mite Imam. Vengono vietate la musica, lo sport, le sigarette, qualunque divertimento e soprattutto qualunque contatto “impuro”. Memorabile la partita di pallone giocata in silenzio sotto il sole, senza la palla, come in un mimo al rallentatore… Tutto questo mentre la marmaglia occupante balla, fuma, va a donne e impone tribunali e sentenze di condanna irrevocabili per tutto ciò che non risponde ai loro dettami. Ci sono delle scene bellissime e terribili che penso rimarranno nella memoria di tutti proprio per questo accostamento di splendidi paesaggi, colori, danza, musica ed estrema violenza ideologica e fisica, come la lapidazione di una giovane coppia con due figli, colpevole di non essere sposata. Purtroppo anche la nostra famigliola incappa nel tribunale islamico per colpa di una vacca uccisa e della relativa vendetta e ne subirà le inevitabili conseguenze. Solo una corsa infinita del pastorello, senza una meta, può far pensare a qualche ottimista che forse qualcuno si salverà…Grande messaggio di denuncia da parte del regista dei danni che subiscono gli stessi mussulmani tolleranti e moderati di fronte all’esplosione della violenza cieca dei fondamentalisti… Ora Timbuktu è stata liberata dopo violenze e distruzioni (tra cui la famosa biblioteca di valore inestimabile), ma fino a quando?
MIA MADRE
Regia: Nanni Moretti.Italia 2015. Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella Fotografia: Arnaldo Catinari. Montaggio: Clelio Benevento.Musiche: Olafur Arnalds, Leonard Cohen. Interpreti: Margherita Buy, John Turturro, Nanni Moretti, Giulia Lazzarini, Stefano Abbati, Beatrice Mancini, Enrico Ianniello, Anna Bellato, Toni Laudadio, Pietro Ragusa, Tatiana Lepore, Lorenzo Gioielli.
Presentato a Cannes in concorso quest’anno, secondo il mio parere è uno dei più bei film di Nanni Moretti. E’ la storia di una regista in un periodo particolarmente difficile della sua esistenza, in cui problemi personali, affettivi, lavorativi si intrecciano e si confondono in un insieme complicato, da cui in qualche modo bisogna tentare di venir fuori. La regista, Margherita Buy, sta girando un film sul mondo del lavoro in una grande fabbrica, con un bizzarro attore americano capace solo di innervosirla e suscitarle reazioni rabbiose e incontrollate. Ha molti dubbi su come portare avanti il film e il rapporto con questo strano attore. Si è appena separata dal marito, ha una figlia adolescente con i suoi problemi di studio e di relazione, ha da gestire i contrattempi della vita di tutti i giorni, ma soprattutto ha una madre malata che accudisce insieme al fratello e che piano piano scivola lucidamente verso la morte. In tutta la storia l’accompagna calmo e paterno, il fratello, Nanni Moretti, quasi un angelo custode ( da qui la citazione de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders?), a farle da contrappunto critico e da riferimento, in un continuo rinvio alla vita reale, ai ricordi, al sogno. Il regista questa volta si sdoppia, si immedesima nel personaggio della Buy, ma nel contempo se ne distacca, la osserva, la scruta, la critica…ma soprattutto si lascia finalmente prendere dal sentimento in maniera sensibile e misurata quando allude alla perdita della madre cui era particolarmente legato, tanto da citarla in tanti suoi film. La splendida recitazione di Giulia Lazzarini ci fa partecipare alla malattia e alla vita passata di questa madre, professoressa colta e benvoluta da intere classi di liceali per cui era diventata un punto di riferimento, di cultura e di vita, anche all’insaputa dei figli. Le scene della comunicazione telefonica della morte della nonna, con il pianto silenzioso della nipotina sotto le coperte, della libreria piena di volumi di autori classici tanto studiati e amati che forse diventeranno inutili, le rievocazioni degli studenti , sono tutti momenti di straordinaria intensità emotiva, intima e pudica, in un ideale confronto con la società attuale, esibizionista e volgare, in cui tanto spesso il dolore viene urlato e pubblicizzato. Un film complesso, in cui il regista è sempre ben presente e partecipe e in cui, secondo me, dà il meglio di se sia come regista che come attore.
Vorrei segnalare qui un film/documentario uscito in aprile di quest’anno, non più nelle sale, ma probabilmente recuperabile. Si intitola “I BAMBINI SANNO” ed è il secondo film di Walter Veltroni dopo “Quando c’era Berlinguer”. Si tratta di interviste fatte a bambini tra gli 8 e i 13 anni, di sorprendente spontaneità e sincerità. I temi affrontati sono i più vari, anche scabrosi, e le risposte, associate alla mimica dei bambini, ripresi per lo più da vicino da una telecamera fissa, ci danno veramente uno spaccato dell’Italia di oggi, quasi incredibile. I punti di vista sono i più vari, i bambini sono maschi e femmine, ricchi e poveri, religiosi e no, immigrati e Rom e ci fanno veramente intendere come certi problemi per noi fonti di infinite diatribe teoriche e morali siano per loro del tutto irrilevanti, mentre altri, come i problemi economici o famigliari, magari sentiti dagli adulti e interiorizzati, siano fonte di preoccupazione e di angosce. Un documentario bello, piacevole, interessante, assai godibile che ci offre un originale punto di vista sull’Italia di oggi e, magari, di domani.
MOMMY
Regia: Xavier Dolan. Francia 2014. Sceneggiatura: Xavier Dolan. Montaggio: Xavier Dolan Fotografia: André Turpin. Interpreti: Antoine Olivier Pilon, Anne Dorval, Suzanne Clément, Patrick Huard.
Un film che segnalo quasi per contrasto con il documentario precedente. Un film duro, iper-
YOUTH/LA GIOVINEZZA
Regia: Paolo Sorrentino. Svizzera, Francia, Gran Bretagna, Italia 2015. Soggetto e sceneggiatura: Paolo Sorrentino Fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Cristiano Travaglioli. Musiche: Daniel Lang. Interpreti: Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda
Presentato in concorso al festival di Cannes quest’anno, lodato dalla critica e campione di incassi al botteghino, l’ultimo film di Paolo Sorrentino ha riscosso un bel successo. Si svolge in gran parte in un grande albergo termale in Svizzera, dove due amici di vecchia data, ormai anziani, abitualmente si incontrano, si raccontano, ricordano, si confidano, mugugnano, ma soprattutto osservano e commentano la vita intorno a loro. Uno dei due, Fred Ballinger, è un anziano direttore d’orchestra, ormai in pensione, che ha da tempo smesso l’attività e non ha nessuna intenzione di riprenderla, nonostante le insistenze di un emissario nientemeno che della Regina Elisabetta che lo vorrebbe a Londra per il compleanno del Principe Filippo a dirigere una sua composizione giovanile. L’altro, Mick Boyle, viceversa, nonostante l’età è ancora pienamente attivo come regista e sta concludendo la sceneggiatura del suo ultimo film con l’aiuto di una squadra di giovani assistenti brillanti e motivati. Intorno ai due, però, si muove una congerie di altri personaggi: la figlia del direttore d’orchestra, mollata vigliaccamente dal fidanzato nonché figlio del regista e consolata da un rustico scalatore che la porta (letteralmente) in equilibrio sulla parete di una palestra di roccia e le fa provare un nuovo brivido esistenziale; la vecchia amica attrice di Mick (Jane Fonda), su cui il regista puntava molto, che lo abbandona al suo destino dopo averlo svillaneggiato e messo difronte al suo fallimento; una bellissima vincitrice di un concorso di bellezza che suscita l’interesse e il rimpianto degli anziani guardoni; il giovane attore entusiasta che cerca un nuovo ruolo in un film intellettuale dopo i successi di cassetta; la squadra di giovani sceneggiatori impegnati, in cerca di un finale per il film, che non si riesce a concludere… I due amici osservano, commentano, fanno battute, mentre si rincorrono nel film bellissime inquadrature della montagna, fantasie, immagini oniriche in cui il richiamo a Fellini è inevitabile… Quando tutto sembra concludersi con queste riflessioni sulla vita e sulla vecchiaia, improvvisamente il film si riapre con un gesto inaspettato del regista, evidentemente non così motivato e appagato dall’esistenza e questo scatena una reazione vitalistica e di autocritica dell’anziano direttore, che riprende in mano il suo destino, ritorna a trovare la moglie, che tutti pensavano deceduta, in un ricovero per dementi a Venezia e accetta finalmente di suonare le sue musiche, composte per la moglie tanti anni prima, difronte alla Regina e al consorte. Come nel film precedente, “ La grande bellezza”, per la mia particolare sensibilità è tutto un po’ troppo, un po’ troppo verboso, un po’ troppo immaginifico, un po’ troppo tirato in un finale che non giunge mai a conclusione: insomma, sicuramente un bel film, ma con un equilibrio non ancora del tutto raggiunto.