abbiamocantato - cral 2018

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PARTENZA
“Senti cara Nineta” 1.40 min
Senti cara Ninetta
Cosa m'è capità
M'è capità una carta
che sono richiamà

Se sono richiamato
bela no stà zigà
tra quattro o cinque mesi
mi vegno congedà

Senti cara ninetta
il treno a cifolar
sali sulla tradotta
Alpin mi tocca andar.
CaraAnna,
mi sento un vigliacco a scriverti dalla stazione dei treni, mentre stai dormendo convinta che al tuo risveglio mi troverai ancora in casa. Credimi, non ho potuto fare altrimenti. Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato. Rintanarci nella sperduta casa di campagna dei tuoi zii è stato solo un modo come un altro per fingere di poterci sottrarre all’inevitabile. Ma l’inevitabile è arrivato, ieri sera, sotto forma di lettera. Tu eri in città a quell’ora. Ho visto arrivare il portalettere da lontano, è giunto davanti casa e ha bussato. Tre volte. Potevo fingere di non esserci, di essere andato in città anch’io. Ma che giovamento ne avrei tratto? Sarebbe tornato oggi. Avrei guadagnato forse delle ore di pace? No. Avrei guadagnato solo ore di angoscia. Gli ho aperto. Mi ha dato la lettera. L’ho firmata. Se n’è andato. Ci ho messo mezz’ora per aprirla. Poche parole, talmente scontate da potersi definire banali…
Su disposizione del Comando distrettuale, Vostra Eccellenza è ufficialmente pregata di sottoporsi a visita volta ad appurare la Vostra idoneità militare, entro e non oltre il 9 luglio 1915, presso il suddetto comando distrettuale, Stanza n. 3.
E’ strano come poche parole, di uso comune, possano scaraventare la tua esistenza lontano da tutto ciò che ami: i tuoi affetti, la tua casa, l’idea di te, in pochi secondi. Si fanno beffe di me, chiamandomi Vostra Eccellenza. Un’Eccellenza singolare, spogliata della libertà e costretta a morire uccidendo, perdendo così in un solo colpo la propria vita e la propria anima. Bada bene, non sono “obbligato” ad andare, ma “pregato”. E tuttavia non sono “cortesemente pregato”, ma “ufficialmente pregato”. Il punto sta proprio qui, Anna. Mi pregano, come farebbe un fedele col suo Dio, un figlio con la madre, come se io potessi avere la scelta di ascoltare o meno le loro preghiere, di accettare o meno il loro invito. Sembro avere scelta, ma non l’ho. E se ho preso la mia decisione senza chiederti il permesso (è perché) Loro hanno deciso per me nel momento in cui hanno scritto quella lettera.
Non ti biasimo se sarai in collera con me. Sono scivolato fuori dal nostro letto mentre dormivi e sono uscito di casa sgattaiolando via come un ladro. Se fossi rimasto Mi avresti detto che questa non è la mia guerra, che la Patria non può obbligarmi a morire per lei, che nessun burocrate ha il diritto di sottrarmi alla mia famiglia, al mio lavoro e alla mia casa per andare a uccidere uomini che non conosco, sottratti alla loro famiglia, al loro lavoro e alla loro casa. “Chi sono loro per obbligarti a fare qualcosa che non vuoi?” mi avresti chiesto. Io ti avrei risposto che non ho scelta, ma tu avresti ribattuto che non esistono situazioni in cui non possiamo scegliere, esistono solo situazioni in cui la scelta è così difficile da sembrare inattuabile
Ecco perché non sono rimasto: non volevo essere convinto da te a rimanere. Sono un uomo debole, Anna. Per debolezza avrei accettato di strappare quella lettera e rimanermene a casa, al sicuro tra le tue braccia. Ma quanto sarebbe durato questo idillio fittizio? Settimane? Giorni? Ore?
Prima o poi sarebbero venuti a prendermi con la forza, perché io non ho scelta, non l’ho mai avuta e nemmeno mi sono mai illuso d’averla. Loro sono quelli che decidono dietro le loro scrivanie. Una mano sullo scacchiere insanguinato d’Europa, un’altra pronta ad afferrare anime in ogni regione d’Italia per scaraventarle dietro la trincea. Non credere che io voglia andare. Non voglio. Ogni cellula del mio corpo grida che non voglio. Tutta la mia generazione l’ha ricevuta, e tutta la mia generazione andrà Se rifiutassi la chiamata, come potrei guardarli negli occhi se dovessero tornare vivi dall’inferno? E come potrei partecipare ai loro funerali sapendo di essermi sottratto al dovere di stare loro accanto? E allora posso solo accettare di essere quello che mi hanno fatto diventare: carne che si offre al macellaio senza capirne la ragione, se non la ragione della cieca obbedienza.
Che Dio perdoni la mia debolezza. Che Dio perdoni le mie mani che si macchieranno di sangue, Il mondo è crudele, ma nonostante tutto non riesco a non essere grato alla vita che mi ha dato te. Addio, Anna. Perdonami se non ti ho dato l’ultimo bacio, ma sarebbe stato intriso di malinconia. Perdonami se non ti ho abbracciato per l’ultima volta, ma sarebbe stato come morire. Perdonami se quando riceverai questa lettera io sarò già lontano, ma già adesso non sono più io. Il Vittorio che conoscevi è morto nell’istante in cui ha ricevuto quella lettera. Prega per lui se puoi. E’ tutto ciò che ti chiedo. E’ tutto ciò che mi resta.
Tuo Vittorio.

“La Leggenda del Piave” 2 min
Il Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera...
Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!
S'udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
«Non passa lo straniero!»
E ritornò il nemico;
per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame...
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora...
«No!», disse il Piave. «No!», dissero i fanti,
«Mai più il nemico faccia un passo avanti!»
Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l'onde...
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:
«Indietro va', straniero!»
ENTRO A CAPORETTO
29 maggio 1915
Carissimi tutti,
Pieno di salute, di fame e di entusiasmo ho attraversata stamani verso le 9 la cittadina piena di soldati e di bandiere Italiane. Caporetto sarà forse come Sansepolcro per estensione; ma è graziosa tanto: pure mi sembrava di sognare vedendo tutte le insegne scritte in slavo compresa quella del consolato Italiano, e sentivo serpeggiare in me un certo orgoglio pensando che calcavo terreno Italiano, ma da secoli detenuto dall’Austria la quale ha trapiantato quà ormai tutto l’elemento slavo sopprimendo ogni vestigia d’Italianità. Sono contento, tanto contento; e sembra che anche la provvidenza m’aiuti, giacchè sono tre giorni che piove dirottamente e che noi marciamo accampandosi in veri pantani, pure i miei dolori non si fanno sentire e neppur compare un piccolo raffreddore. Sembra che questa volta il “Vecchio Dio” sia con noi e per noi giacchè la causa è santissima: adesso andiamo all’assedio di Tolmino: ma perché vi facciate un’idea il perché si cammina tanto, vi dirò che la nostra brigata (89° e 90°) è di riserva e così all’inizio della guerra passammo il confine a Mernicco, ed andammo in Gorizia, (nel goriziano) poi ritornammo in territorio italiano perché fummo sostituiti e venimmo a tappe, a ripassare il confine presso Pulfero e Loch: quasi alla parte opposta. Non posso aggiungere altro. Certo però, forse prima che vi giunga la presente saprete dai giornale che Tolmino è caduta e… con molti prigionieri. Sono stanco; è vero!... tanto stanco e preferirei combattere tutto il giorno invece di camminare, ma…. la guerra è guerra ed io mangio con vera fame mi sostiene la salute e con essa lo spirito; l’entusiasmo.
TRINCEA BATTAGLIA
“ Il testamento del Capitano” 4.00 min
Il capitan de la compagnia
e l’è ferito e sta per mori.
El manda a dire ai suoi Alpini
perché lo vengano a ritrovar.
I suoi Alpini ghe manda a dire
che non han scarpe per camminar.
“O con le scarpe, o senza scarpe,
i miei Alpini li voglio qua”.
“Cosa comanda sior capitano,
che noi adesso semo arrivà?”
“E io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia taglià.
Il primo pezzo alla mia Patria,
secondo pezzo al Battaglion.
Il terzo pezzo alla mia Mamma
che si ricordi del suo figliol.
Il quarto pezzo alla mia Bella,
che si ricordi del suo primo amor.
L’ultimo pezzo alle Montagne
che lo fioriscano di rose e fior”.
L’ultimo pezzo alle Montagne
che lo fioriscano di rose e fior!
NEL CUORE DELLA BATTAGLIA
Il combattimento è cessato e la morte ch’è avanzata, ha diffuso intorno un lugubre silenzio.
Improvvisamente una grandinata di bombe ci investe.
Ci buttiamo di colpo ventre a terra.
Un capitano, steso morto accanto ai miei piedi, viene nuovamente colpito dalla ventata di fuoco e di ferro; questo povero corpo morto diventa una poltiglia e quel poco di sangue che ancora trovasi nella sua carne ci schizza sugli abiti, sul viso. Impugno disperatamente la mitragliatrice e con terrore noto che non risponde al comando.
Il castello dell'arma colpito da una grossa scheggia e l'arma si è inceppata.
Disperati raccattiamo bombe e le lanciamo con forza contro gli arditi assalitori i quali con altrettanta lena ce le contraccambiano.
Tante ce ne vengono recate, altrettante le scagliamo.
Quanto tempo dura questo gioco disperato?
Ma il combattimento non cessa ancora: si spara, si spara, si spara!
Numerosi soldati sono caduti: molti miei compagni sono morti col dolce nome di mamma sulle labbra mentre altri, feriti gravemente, con lamento lugubre chiedevano di non essere abbandonati.
“La cima del Montello” 2.40 min
La cima del Montello sarà,
la cima del Montello sarà,
la cima del Montello sarà un macello.
Scrivo una letterina sarà,
scrivo una letterina sarà,
scrivo una letterina sarà d’amore.
La punta del mio cuore sarà,
la punta del mio cuore sarà,
la punta del mio cuore sarà la penna.
MI DICEVO: QUI BISOGNA MORIRE
Danno l'ordine, di avanzare, prima si doveva calarsi giù per un pendio: non si è fatto che quattro sbalsi a carponi, che il nemico mi scopriì, e allora è stato una tempesta di piombo, a ridosso su di noi, poveri infelici, perciò centinaia di bocche gridavano: Aiuto Aiuto, portaferiti, salvatemi, chi chiamava la mamma, chi la sposa, il papà, insomma cose che facevano, ribrividire chi è morto sul colpo, chi era gravemente ferito, pochi erano i superstiti.
Insomma era una desolazione di spavento, chi non ha provato e visto non può credere, un vero sfacelo; poi io, invece di retrocedere, mi sono portato più avanti, di modo che mi sono portato fuori del tiro nemico, ma camminavo come fanno i caprioli, tutto angosciato del vero spavento, non cera da scherzare, e di qui trovai una specie di trincea fatta di sacchetti di terra dove di notte ci si metteva i piccoli posti avanzati, era apenna della larghezza di circa due o tre metri, e  lì mi buttai contro di traverso ma non ne potevo più, e arsito dalla sete chi mi bruciava il proprio petto e  più in alto a retro di me, si sentiva a ancora tanti, a gridare aiuto, aiuto, portaferiti, che contendevano colla vita e la morte, perciò io per il grande spavento non sapevo più cosa mi facevo, dicevo tra me qui bisogna morire, o a un modo o all'altro.
Fummo fortunati – su 80 militari del 266° avemmo 15 feriti ed un morto solo.
Per questo morto la colpa fu un poco del Capitano che gli ordinò di andare a fare rifornimento di Vermouth sotto un fuoco violento.
Il Signor Capitano se ne rese conto, tanto è vero che quando scendemmo dalla trincea, ordinò una sottoscrizione  in favore della famiglia del Bersagliere defunto.
Nei giorni di offensiva , si distribuiscono alla truppa delle razioni supplementari di Vermouth e cognac, per metterla quasi in istato di incoscienza al momento dell’urto con il nemico.
AMICIZIA TRA NEMICI  
“Benia calastoria” 3.30 min
Tornà, son tornà, son tornà par sempre,
Tornà nella valle dove gera me popà.
Vardè, ma vardè, ma vardè la valle,
Vardè le montagne dove gera le contrà
CONVENEVOLI CON IL NEMICO
Il trattamento degli ufficiali austriaci verso i nostri fu oltremodo cavalleresco e cameratesco. Ci offrirono quel poco che avevano. Noi offrimmo le ultime sigarette. Trovammo anche alcuni ufficiali della Geburge Artillierie che erano stai i nostri antagonisti diretti sulle ultime posizioni di Monte Carnico.Ci complimentarono: “Accidenti! come tiravate bene! E noi di rimando: “Ma anche voi non scherzavate!
Assistevamo ad un  fenomeno straordinario. Giovani, quasi tutti della medesima età, con una preparazione di studi pressoché uguale, senza alcun odio personale anzi con una certa identità di vedute nel campo sociologico, trovarsi per anni uno di fronte all'altro a scambiarsi cannonate, compiacendoci cinicamente quando vedevamo le baracchette nemiche e gli schermi di sacchetti a terra saltar per aria in una nuvola di fuoco e di polvere.
Adesso eravamo seduti sulle panche di un focolare cadorino, davanti ad un bel fuoco accogliente, in piena fraternità. Di dormire non se ne parlava. E le nostre discussioni agevolate da un ufficiale trentino che aveva pure un fratello ufficiale italiano, andavano al problema scottante della guerra in se stessa.
“ Monte Canino”
Non ti ricordi quel mese d’Aprile,
quel lungo treno che andava al confine.
Che trasportavano migliaia degli alpini:
sù, sù correte: è l’ora di partir!
Che trasportavano migliaia degli alpini:
sù, sù correte: è l’ora di partir!
Dopo tre giorni di strada ferrata,
ed altri due di lungo cammino,
siamo arrivati sul Monte Canino
e a ciel sereno ci tocca riposar...
siamo arrivati sul Monte Canino
e a ciel sereno ci tocca riposar..
Se avete fame guardate lontano,
se avete sete la tazza alla mano.
Se avete sete la tazza alla mano
che ci rinfresca la neve ci sarà.
Se avete sete la tazza alla mano
che ci rinfresca la neve ci sarà.
PANE PER IL NEMICO
Verso mezzodì sono giunti al comando due soldati austriaci catturati sulla fronte del 2° battaglione. I soldati nostri, che li accompagnavano erano raggianti. Un folla di curiosi assiepava i due prigionieri Avevano una divisa grigio-perla Portavano il berretto informe schiacciato un varie guise, non avevano cravatta e il colletto della giubba era agganciato sul collo sporco. Le scarpe erano rappezzate ma evidentemente solide. Ed essi portavano un paio di larghe uose di forma sgraziata che sembravano però più pratiche delle nostre mollettiere. A richiesta del sig. colonnello essi mostrarono dei piccoli tozzi di pane che tenevano in tasca: erano neri, durissimi, di odore acido e sulla superficie di frattura presentavano un coloro bruno scuro nel quale risplendevano pagliuzze di varie dimensioni. Uno dei nostri fanti, presente alla scena, dopo un po' di esitazione si fece avanti ed offerse ai prigionieri con garbata semplicità una bella pagnotta nostra d'un chilo: la sua razione per quella giornata. Da quel momento in poi i prigionieri furono fatti segno ad innumerevoli cortesie spontanee da parte dei nostri fanti. Li vidi più tardi brontolare fra loro con risa stupide, mangiando la nostra minestra fumante da gavette nostre e fumare allegramente le nostre sigarette Macedonia.
AFFETTI
“Era una notte che pioveva”
Era una notte che pioveva
e che tirava un forte vento
immaginatevi che grande tormento
per un alpino che stava a vegliar!
A mezzanotte arriva il cambio
accompagnato dal capoposto
O sentinella ritorna al tuo posto
sotto la tenda a riposar.
Mentre dormivo sotto la tenda
sognavo d'esser con la mia bella
invece ero di sentinella
fare la guardia allo stranier!
Sposina cara,
sono le due, la notte è non ho sonno, e poi non potrei dormire per temenza di non svegliarmi per tempo. Sono qui solo, sarebbe inutile ti dicessi che il mio pensiero è a te ed ai miei cari e giacché  non ho niente da fare ho voluto scriverti queste poche righe e così dare riscontro a due tue affettuosissime letterine che mi sono pervenute poche ore fa. Benché le avversità siano tante mi sento di buon umore e sono contento, cosa che del resto ho potuto rilevare che provo ogni qualvolta ricevo lettere da te e da i miei cari. Per noi poveri soldati e specialmente in questi tristi tempi, la posta è un gran sollievo, le notizie dei nostri cari sono come un balsamo. Ed io ti ringrazio mia Gina, perché devo a te questa mia contentezza, vorrei anch’io scriverti più spesso e tenerti più tranquilla, ma l’una o l’altra cosa talvolta me lo impediscono. Ho gioito moltissimo saperti in ottima salute e che adesso passi parecchie ore della giornata in casa mia  ad aiutare a quella cara figliola di Adriana. Chissà quanto parlerete di me? Mi par di vedervi tutte e due, l’una vicina all’altra intente a lavorare, ogni tanto darvi uno sguardo, mi par di sentire quella santa donna di mia madre intervenire in ogni vostro discorso, voletevi bene carine mie, per amor mio, voletevi sempre bene.
Ieri ricevetti una lettera di Adriana che mi parlava molto anche di te, non puoi credere la contentezza ch’io provai nel sentirle usare molte affettuose paroline a tuo riguardo, poverina, bisogna le risponda, domani se avrò un po’ di tempo lo farò.
Io, cara la mia piccina, godo sempre di un’ottima salute, adesso qui non ce la passiamo tanto male, siamo in un periodo di calma, la bufera è in altra parte, auguriamoci però che una nostra grande vittoria nella nuova battaglia intrapresasi ci metta sulla via della Pace e che presto ci sia data la felicità di potersi rivedere.
A tuo zio Gino ho scritto ieri sera, sò che sta bene e che si trova sempre nel medesimo posto. Non ho altro da dirti Ginetta cara, stai tranquilla, salutami tanto i tuoi e Gino ed abbiti  un milione di caldi ed affettuosi bacioni che uniti ad uno stretto abbraccio te l’invia il tuo sempre
“ Tempo di Pasqua”
Tempo Pasqua volevo Sposarmi,
ma l'destino non volle così:
non aveva compiuto i vent'anni,
che sul Fronte, innocente, morì.
Da quel dì che la Morte crudele,
dal mio fianco me l'hanno rapì,
al pensar che fu stato Fedele,
non ho Pace, nè notte ne dì.
Ti ricordi i tuoi cari i tuoi Baci,
che mi davi stringendomi a te?
Mi dicevi sei bella, mi piaci,
sulla Terra sei nata per me.
Ragazzette che fate l'Amore,
non piangete non state a soffrir:
non v'è al Mondo più grande Dolore
che al vedere l'amante a morir!
Mercoledì 5 gennaio 1916
Carissima: adorata mia Rita: or’ora ho finito di leggere la tua affettuosa letterona: piangevo… ti vedevo man mano che mi bevevo le carissime tue espressioni. La Velma, la mia cara bambina ch’adoro tanto, tanto che m’ha dati per 15 paradisiaci giorni, i suoi graziosi bacini col pizzico; la mia Velmina cara l’ho sempre davanti: la vedo continuamente nei suoi vari graziosi atteggiamenti: sento anche la sua graziosa vocina e poi, credi, ho sempre nella mente quelle parole della canzone ch’essa aveva imparato dalla Donda [...].Sempre, sempre nella mente… speriamo che vada bene, che si vinca presto ch’è il nostro sacro santo diritto e poi una pace che renda i padri ai figli e le spose ai mariti. Adesso sono tranquillo rassegnato: so che questo è il mio dovere e lo compio tutto intero. Sono ancora, un po’, coinvolto in un aurea nebulosa, in un sogno dolcissimo, di quelli che lasciano lunghe traccie… il sogno dolcissimo d’essere stato a casa 15 giorni con te ch’adoro, con Velmina adorata anch’essa come te e forse… più, con i genitori carissimi…. Adesso sono rassegnato ed ho incominciato a riprendere la vita mia di prima, le stesse mie attribuzioni mi aiutano a dimenticare, però non ti nascondo che ieri l’altro nel riporre il piede qui, ho pianto, ho pianto veramente, e  la sera con Giordano, parlando di licenza, ebbi ancora un momento di debolezza e piansi come un bambino. Adesso a poco, a poco tutto passa: e tutto passerà per bene e , se non vi sarà bisogno della mia vita, torneremo ancora a passare giorni dolcissimi e felici. Si, Rita, mandamela per Telemaco la fotografia che ho dimenticata a casa; Mi dispiace tanto, ma tanto il non averla con me. Spero anche per Domenica che tu mi possa mandare la fotografia che ci siamo fatti assieme il 1° dell’anno: sarà un caro ricordo. Bravo tesoro mio: tu mi hai prevenuto: anch’io volevo che tu non spendessi le due lire che ho date a Velma… brava: un bacio. Però io voglio ancora di più: Se non tornassi più: alle due lire farai fare un anellino e con una catenina d’argento le terrai sempre al collo della cara Velmina: capito?... speriamo…. Oggi ti ho mandato 70 lire, tu sai già cosa farne, vero?... 20 al babbo, 20 il 15 alla mamma: 5 al babbo ancora, e 25 per te, per la mia cara sposina ch’è tutto il mio sogno con la mia creatura. Vi bacio caramente tanto: tanto: tutti Vostro Aldo
“Stelutis Alpinis”.
Se tu vens  cassù ta' cretis
là che lôr  mi àn soterât,
al è un  splaz plen di stelutis;
dal miò  sanc l’è stât bagnât.
Par segnâl,  une crosute
je scolpide  lì tal cret,
fra chês  stelis nas l'arbute,
sot di lôr,  jo duâr cujet.
Cjôl sù,  cjôl une stelute:
jê 'a  ricuarde il nestri ben.
Tu j darâs  'ne bussadute
e po'  plàtile tal sen.
Quant che a  cjase tu sês sole
e di cûr tu  préis par me,
il miò  spirt atôr ti svole:
jo e la  stele sin cun te.
Se tu  verrai quassù fra le rocce,
dove fui  sotterrato,
troverai  uno spiazzo di stelle alpine
bagnate del  mio sangue.
Una piccola  croce è scolpita nel masso;
in mezzo  alle stelle ora cresce l'erba;
sotto  l'erba io dormo tranquillo.
Cogli,  cogli una stella alpina:
essa ti  ricorderà il nostro amore.
E baciala,
e  nascondila poi nel seno.
E quando  sarai sola in casa,
e pregherai  di cuore per me,
il mio  spirito ti aleggerà intorno:
io e la  stella saremo con te.
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